24 Giugno, 2025 - Nessun Commento

1/COME LATINA ATTENDE I SUOI 100 ANNI
CITTA’ INCLUSIVA? CITTA’ VIGILATA?

Gli Immigrati. Latina sta vivendo gli ultimi cinque anni prima di raggiungere l’età di 100 anni, data in cui potrebbe cominciare davvero a chiamarsi Città, non solo per abitanti, ma anche per continuità della sua comunità. Che, peraltro, si sta rinnovando proprio in questi ultimi tempi con un ritmo e una “qualità” non sempre proprio
soddisfacenti. E piantiamola, una volta tanto, di tirare in ballo gli “Immigrati” ai quali si addossano tutte le colpe possibili (sfaticati, perditempo, antiestetici, piccoli o grandi criminali, sporcaccioni, ecc. ecc.) senza far caso ai nomi italiani dei piccoli e grandi criminali e/o vandali  che commettono  reati o distruggono o danneggiano beni pubblici e privati, che poi si attribuiscono agli immigrati. E senza dimenticare che anche l’Italia “esporta” migranti. E lo fa ininterrottamente da oltre 150 anni. Verso l’”America”, l’Europa, l’Australia, e anche l’Oriente.

Latina non è una città “inclusiva” come vorrebbe far credere e come davvero essa crede quando diventa pavonessa davanti allo specchio. Agli immigrati non offre nulla ed anzi smonta le panchine sulle quali cercano di riposare nella giornata o di notte; non offre che un limitato numero di alloggi  per ripararsi dal gelo, dalle piogge invernali  o dall’afa spietata d’estate.

Non offre un punto in cui i meno fortunati possano sfamarsi con un pezzo di pane. Il Comune “delega” alla Chiesa di Latina l’onere di mantenere in vita con mense, con l’opera delle varie Caritas, con la generosità dei singoli un lavoro che dovrebbe essere tipico di una città ”inclusiva” e umana.

E si prepara in questo modo a diventare “città dei cento anni”, beneficiando anche di una legge ad hoc, deliberata  con l’evidente proposito di compiere un atto “politico” di riconoscimento di un ormai defatigante cliché che riconduce ai soliti miti di fondazione, che solo pochi si sforzano – per spirito di obiettività storica – di ricondurre entro i limiti di una operazione dovuta a chi abitava,
negli anni Venti del secolo scorso – sopraffatto dalla miseria, dalla ricerca della sopravvivenza, da una maledetta malaria, dai monopolisti della terra, dalla palude –  a soli settanta chilometri da Roma, capitale del nuovo regno d’Italia.

Una città sciatta e sporca. Ma non c’è solo questo di discutibile nel modo in cui la nostra Città del Centenario si sta preparando ai fuochi d’artificio. A chi la guarda, essa appare in abbandono, sfatta, brutta e sporca, colma di rifiuti che essa genera ma non sa smaltire, priva di Vigili Urbani (un sindaco di altri tempi, Nino Corona, sognava il “vigile di quartiere”): oggi di Vigili ce ne sono un pugno, legittimamente impossibilitati a fare tutto quello che dovrebbero fare. Eppure ce n’erano…

Che fine hanno fatto i Vigili di un tempo? Si dice che siano stati tutti riciclati dietro comode scrivanie degli uffici comunali, in quanto vittime di malattie e di acciacchi che impedirebbero loro – con
tanto di certificato medico di inidoneità al “lavoro su strada” – di adempiere al dovere per il quale essi furono assunti per pubblico concorso.  Vi pare soddisfacente per una Città che si avvia a
festeggiare i suoi primi 100 anni? Spazzini e aiuole. Ma non di soli Vigili è carente Latina. Essa ignora un mestiere, umile ma necessario: quello degli spazzini, anzi
netturbini. Se le strade sono sempre sporche, anche se passano costosi mezzi meccanici chiamati (invano) a spazzarle, non si può non parlare dei marciapiedi: anch’essi sporchi, incrostati, coperti di resti di chewing gum, invasi da erbe, scavati, scassati, immondi, pericolosi, dissestati dalle radici di alberi, devastati da buche, riparazioni mal fatte, privi delle mattonelle, pieni di buche: e chi ne ha più ne metta. Conto circa 3 spazzini per una città di oltre centomila abitanti, la seconda del Lazio. Sono tutti concentrati nell’Isola Pedonale. Alcuni anni fa ne vidi uno all’imboccatura nord di via Epitaffio. Forse si era perso.

E chiudiamo il capitolo con le aiuole. Aiuole? Ma sono fetenti depositi di escrementi di cane, di bottiglie lasciate da ragazzi, di cartacce: tutto questo non viene tolto neppure quando – circa due
volte l’anno – vengono falciate, portando alla luce questo deposito nascosto di sozza immondizia.

Ricordo che il sindaco Delio Redi (forse qualche secolo fa) emise un’ordinanza che infliggeva sanzioni pecuniarie ai proprietari di cani che non accompagnassero i loro animaletti muniti di sacchette per raccogliere lo sterco. Dell’ordinanza si sono perse le tracce nella gestione “ordinaria” di questa città. (continua)

28 Maggio, 2025 - Nessun Commento

LA CITTA’ IN PILLOLE

Mi sono spesso chiesto come faccia un amministratore coscienzioso – di una città capoluogo di provincia – ad assumere decisioni che incidono fortemente non solo sul presente (che è per noi importante) ma anche sull’avvenire della città stessa. E mi sono sempre risposto che io non saprei farlo se non consultandomi con gente (specialisti, professionisti di vaglio, gente sulla cui affidabilità tecnica non può che farsi affidamento).

Ho anche “ammirato” gli amministratori che quelle decisioni assumono affidandosi al proprio personale gusto (buono, cattivo o inesistente) e alle proprie scelte (tecniche o paratecniche) bypassando le consultazioni e decidendo di testa propria, o quasi. E mi sono sempre risposto che ci vogliono almeno due requisiti: una faccia tosta a prova di bomba; oppure una faccia tosta e basta.

Mi riferisco al programma di arredo dell’isola pedonale e al suo primo esperimento d’ impatto con una manifestazione inadatta al luogo. L’arredo si giudica da sé: ma se avessi votato quell’amministratore o amministratori, il secondo voto non glielo darei. Ad evitare di far pensare chi legge che ce l’ho con qualcuno di specifico, chiarisco subito che sto facendo un discorso generale. Questo discorso, infatti, non si riferisce soltanto al progetto di arredo urbano dell’isola pedonale di Latina (che non ha retto neppure ad una “prova d’urto” di un modesto camioncino di ABC, che ha fatto volare in frantumi uno degli oggetti di arredo, che pure sembrava forte come una roccia. Mi riferisco anche, ad esempio, al porto-canale di Rio Marito,
vergognosamente insabbiato in un paio di anni, al punto da essere divenuto quasi un prolungamento della spiaggia.

E mi riferisco anche alla gestione del “verde” (si fa per dire) che ha reso in questa primavera la città fiorente come una prateria, grazie alle erbacce che riempiono strade, marciapiedi, fondaci, slarghi, parcheggi, asfalti. Un mio amico ha nel proprio studio professionale una gigantografia che, grazie a sapienti ritocchi cok photoshop, illustra il Palazzo della ex Intendenza di Finanza come sorgente da un rigoglioso e curato prato erboso.

Ma è un’altra cosa rispetto al “verde” spontaneo della città, che gli amministratori di Latina hanno finora “curato”, come può vedersi ovunque e in particolare dalla foto che pubblichiamo  (complanare di via Monti).

Ora, però, sembra che gli amministratori stiano intervenendo, essendosi notato qualche marciapiedi “falciato” con un frullino tosaerba. Solo che le erbe falciate non vengono (rispetto per il “verde”?) rimosse, ma lasciate al vento che, soffiando, le disperde per la città e per gli androni dei palazzi che lasciano il portone aperto. Due monumenti

E se qualcuno si azzardasse a dire che la città è priva di monumenti, dovrebbe essere mandato alla gogna. In omaggio allo spirito militaresco della sua popolazione, infatti, negli ultimi anni sono cresciuti in diverse piazze: una statua al Bersagliere, una statua all’Alpino, una statua (anzi un aereo fuori uso) all’Aviatore. Mancano ancora la statua al Marinaio, a Putin (per via dell’Ucraina) e a Netanyahu (per via di Gaza) per completare il quadro. E, invece, no, perché la città ha anche monumenti quasi antichi.

Ne diamo due dimostrazioni nelle foto qui riportate: il primo è un ex distributore di benzina in pieno centro (via …….), il secondo  e un’ex edicola di libri usati lasciata da un personaggio simpatico e sfortunato che mi metteva da parte i “gialli Mondadori” di Nero Wolf che ora sono introvabili in originale. E’ stato ammazzato dal Covid e forse non ha eredi. E neppure gli amministratori comunali dedicano attenzione a questo monumento alla Lettura, sia pure fatta con l’usato.

Che altro dire? Pronti a integrare questo breve elenco.

19 Maggio, 2025 - Nessun Commento

QUEL cimitero CHE DOVREBBE ESSERE un CIMITERO

Non ho mai capito perché l’Amministrazione comunale,  all’epoca guidata dal sindaco  Vincenzo Zaccheo, abbia sentito il bisogno di rinunciare alla gestione diretta del Cimitero e abbia, invece, preferito affidarla ad un operatore privato. Non l’ho capito, perché un Cimitero non è un’attività dalla quale si pretende di ricavare un lucro. Al contrario, è l’ultimo deposito di affetti familiari, una struttura dolente ma consolatoria, e questo si vede abitualmente dall’impegno che i frequentatori “forzati” impiegano per dare alle tombe dei propri cari l’affetto che possono ancora  esprimere.

Ma vi sono anche coloro che non hanno la possibilità di mobilitare risorse economiche, per quanto piccole, e si rendono autori di piccoli, odiosi episodi  di “prelevamento nascosto” di altrui cornici, anche fiori, scope lasciate nelle cappelline, piccoli ricordi privi di valore economico. Personalmente posso contare il “furto” (ma si può chiamare così?) di almeno una decina di scope. Ne avete bisogno? Prendetele in prestito, ma rimettetele al loro posto. Altrimenti potrebbe capitare a voi quello che è capitato a me: aver visto sparire l’ennesima scopa e non trovare, in cambio, una sola scopa “pubblica”, ma con mezzo manico e una spazzola che può soltanto sporcare e non  pulire.

Oggi, poi, di sabato, per la seconda o terza volta di seguito ho trovato il cimitero sporco, non spazzato, carente dei supporti minimi (una scopa, appunto, un raccogli-immondizia, il lavaggio del guano prodotto dai piccioni, divenuti i veri padroni di questo luogo). Più che un cimitero è un luogo che non interessa nessuno. Neppure l’appaltatore.

Non so – lo ripeto – perché Vincenzo Zaccheo abbia deciso di appaltare l’estrema consolazione, i sentimenti  di chi visita i morti. E’ stato
un appalto abusivo dei sentimenti più intimi di migliaia di persone.

E non capisco quale sia la convenzione che regola i rapporti tra gestore – si chiama Ipogeo, cioè “sotto la terra” – e Comune. Non si capisce se il gestore debba provvedere o no  ad evitare che una struttura fatta per una visita protetta da pioggia o vento, sia diventata una doccia nei giorni di pioggia. Le coperture sono ormai per il 60-70% (a occhio) permeabili alla pioggia e provocano sgocciolamento anche davanti alle cappelline e in genere nei corridoi.
Sono un forzato frequentatore del cimitero da decenni, e non ricordo di aver mai visto un operaio che tampona una infiltrazione di acqua.
Ci sono – è vero –  allestimenti per evitare che i frequentatori finiscano sotto una doccia particolarmente abbondante, ma li vedo da anni immoti e inutilizzati.

Però il reparto “tombe nuove” è ben messo. Forse per attirare utenti o aspiranti utenti e convincerli che un buon prezzo garantisce una buona
sepoltura?

Quando fui costretto a fare il mio acquisto (in lire)  presso la ricevitoria del Comune di Latina mi dettero le regole che dovevo osservare e quelle che avrebbe osservato il Comune. Io ho finora osservato le mie regole, il Comune no. E, nei giorni di pioggia, mi impedisce di visitare la cappellina dove riposano i miei cari. Ho osservato anche le regole imposte da tabelle esposte all’ingresso del Cimitero che mi dicono che è proibito “sostare nel Cimitero per più di 30 minuti”. Io ne impiego almeno 10 per andare e tornare, perché il cimitero si è espanso e si avvia ad avere una popolazione di defunti quasi pari alla popolazione degli ancora-vivi. Ho osservato anche la regola di non chiedere informazioni “a persone che non siano dipendenti del gestore”. Ma dipendenti del gestore non ne vedo mai e fortunatamente sono ancora abbastanza lucido per non perdermi nel labirinto del Cimitero. Come fare?

Oggi sono stato il primo a presentarmi ai cancelli. Ma c’è un’altra regola regola (anche questa incomprensibile)  che impone l’apertura dei cancelli alle 08,45. Io sono stato tanto malaccorto di arrivare alle 08,33, per cui ho dovuto attendere che il guardiano aprisse dopo 12 minuti, trascorsi a guardare il cielo e scambiare due chiacchiere con un’altra persona, giunta nel frattempo. Alle 08,46 ero, finalmente, nel recinto. Ometto altri dettagli, ne ho detti fin troppi, Ma voglio assicurare il Comune che non riuscirà  ad impedirmi di visitare i miei cari. Sperando che  non scoraggi i miei parenti a venire a deporre un fiore per me quando sarà giunto il mio turno.

 

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