29 Giugno, 2025 - Nessun Commento

2/LATINA VERSO IL CENTENARIO
LA “POMPEI” VEGETALE

Quando tra qualche millennio scaveranno sotto la montagna di foglie che si stanno ammassando, di stagione in stagione, e che finiranno per coprire la città di Latina, soffocandola, ma preservandola per i nostri lontani posteri, si troveranno le ragioni per cui una città di appena cento anni sia stata ricoperta. Non di lava, cenere e lapilli, ma del prodotto dei begli alberi che indubbiamente possiede.

Le ragioni di tale “Pompeizzazione vegetale” sono sostanzialmente due:
–          una di carattere per così dire burocratico-aziendale
–          una per incapacità di organizzare ed eseguire le pulizie giornaliere che si fanno in (quasi) tutte le altre città d’Italia.

Ce ne sarebbe anche una terza: la disattenzione degli Amministratori. Ma, parce sepultis.

Mercoledì 18 giugno, ad esempio, verso le ore 10 del mattino si è scaricata sulla città una “bomba d’acqua”, accompagnata da violente ventate. Sembrava l’occasione giusta per cogliere – come si dice – due piccioni con una sola fava.

La tempesta d’acqua – esauritasi in una decina di minuti, ma impetuosa – avrebbe potuto prima lavare le sudicie vie e gli orridi marciapiedi di Latina, e poi spazzare la poltiglia di fango, foglie, carta, vetro, cicche di sigarette, legnami, rami d’albero, catodi e anodi che costituiscono il ricco e ormai consolidato substrato che dà forma alle strade, marciapiedi e aiuole di Latina. E invece, no. Il substrato è stato assai più resistente della tempesta meteo, tanto è vero che giovedì 19 giugno non solo sussistevano tutte le fetenti componenti della stratificazione di mondezza che da qualche
anno segnalano Latina, ma alla stratificazione si accompagnavano lunghe chiazze di acqua ristagnante a causa del tappo che detta mondezza ha creato davanti alle caditoie, impedendo il deflusso. Ma nessuno è parso interessarsi al fenomeno. Di più: le acque ristagnanti e imputridite erano marcate da galleggianti chiazze di schiuma che ribadivano la qualità e la consistenza della sozzeria che caratterizza la Latina di questi tempi. Un tempo saremmo ricorsi all’Ufficiale sanitario comunale o al Medico provinciale. Oggi, scomparse queste due figure, chi ci si deve rivolgere (in seconda istanza): alla Asl? Ma non c’è un assessore all’Igiene pubblica?

DUE AZIENDE. Ma di chi è la colpa? Non si capisce. In effetti Latina è stata capace di creare in qualche anno ben due aziende per la mondezza: una si chiamava “Latina Ambiente” ed è stata fatta fallire qualche anno fa. Sulle sue ceneri è nata una nuova azienda, che si chiama “ABC” (Azienda Beni Comuni): ebbene anche questa seconda sta per fallire. Così preavvisa la cronaca locale. Così pare confermare il Comune che si rifiuta da qualche anno di approvarne i bilanci. In questo modo il Comune paralizza la “sua” stessa azienda, dandosi la zappa sui piedi.

Sarebbe un bel primato, e sempre in mano a un certo “tipo” di amministratori. E la Città si avvia al suo destino di sepoltura. I futuri archeologi avranno, comunque, il vantaggio di poter estrarre,
col carotaggio, significative successioni di mondezza: anni Venti, anni Trenta eccetera. Sarà un bello studio.

Scopriranno, così, che mentre la Città soffriva sotto il susseguirsi di manti di immondizia stratificati in tutto il centro e il suburbio (e la gente pagava la bolletta), il suo “nocciolo centrale” (l’Isola
Pedonale, tra corso della Repubblica e le vie Diaz, Duca del Mare, Eugenio di Savoia e Pio VI) era il punto più pulito della città. Ogni mattina dalle 06-0630 vi lavoravano fino a tre autospazzatrici (medie o piccole) che pulivano le aree date in concessione a privati operatori, (che ne ricevono un gradito gratuito servizio), alcuni addetti allo svuotamento dei secchi della nettezza urbana, due o tre scopini che “rifiniscono”  la pulizia eseguita dai mezzi meccanici.

Se, invece, gli archeologi del futuro scaveranno in altri settori della Città (a Est, Nord e altre zone) scopriranno che in essi ha “lavorato” un solo camion per il ritiro della “merce” rovesciata nei
cassonetti, ma non quello che non è entrato nei cassonetti o è stato disperso dai “cercatori nei cassonetti” ( attività che ha ormai assunto il carattere di una vera e propria professione non impedita).
Ma senza alcuno spazzino. A Latina mancano, dunque, le figure professionali di Vigili Urbani  e di spazzini, che pure sono onorevoli attività benché ignorate.  Quindi, in una stessa città nella
quale tutti i cittadini pagano le stesse tasse c’è chi ha avuto il servizio e chi no.

LE AIUOLE. E chissà e gli archeologi riusciranno a distinguere i resti delle aiuole. Che non sono aiuole, ma che seguono due stagioni: quella dell’inselvatichimento da erbacce e quello della “pulizia” che mette allo scoperto tutta la schifezza che noi cittadini vi abbiamo lasciata: bottiglie, carte e soprattutto defecazioni di tutti gli animali esistenti in la città, inclusi i cittadini che lasciano quei rifiuti.

Per non parlare del risultato dell’”ultima moda” : falciare l’erba e lasciare gli sfalci sul posto. Allo scopo di arricchire l’orrenda gestione di questa Città (meglio con la minuscola: città).
(2/continua)

24 Giugno, 2025 - Nessun Commento

1/COME LATINA ATTENDE I SUOI 100 ANNI
CITTA’ INCLUSIVA? CITTA’ VIGILATA?

Gli Immigrati. Latina sta vivendo gli ultimi cinque anni prima di raggiungere l’età di 100 anni, data in cui potrebbe cominciare davvero a chiamarsi Città, non solo per abitanti, ma anche per continuità della sua comunità. Che, peraltro, si sta rinnovando proprio in questi ultimi tempi con un ritmo e una “qualità” non sempre proprio
soddisfacenti. E piantiamola, una volta tanto, di tirare in ballo gli “Immigrati” ai quali si addossano tutte le colpe possibili (sfaticati, perditempo, antiestetici, piccoli o grandi criminali, sporcaccioni, ecc. ecc.) senza far caso ai nomi italiani dei piccoli e grandi criminali e/o vandali  che commettono  reati o distruggono o danneggiano beni pubblici e privati, che poi si attribuiscono agli immigrati. E senza dimenticare che anche l’Italia “esporta” migranti. E lo fa ininterrottamente da oltre 150 anni. Verso l’”America”, l’Europa, l’Australia, e anche l’Oriente.

Latina non è una città “inclusiva” come vorrebbe far credere e come davvero essa crede quando diventa pavonessa davanti allo specchio. Agli immigrati non offre nulla ed anzi smonta le panchine sulle quali cercano di riposare nella giornata o di notte; non offre che un limitato numero di alloggi  per ripararsi dal gelo, dalle piogge invernali  o dall’afa spietata d’estate.

Non offre un punto in cui i meno fortunati possano sfamarsi con un pezzo di pane. Il Comune “delega” alla Chiesa di Latina l’onere di mantenere in vita con mense, con l’opera delle varie Caritas, con la generosità dei singoli un lavoro che dovrebbe essere tipico di una città ”inclusiva” e umana.

E si prepara in questo modo a diventare “città dei cento anni”, beneficiando anche di una legge ad hoc, deliberata  con l’evidente proposito di compiere un atto “politico” di riconoscimento di un ormai defatigante cliché che riconduce ai soliti miti di fondazione, che solo pochi si sforzano – per spirito di obiettività storica – di ricondurre entro i limiti di una operazione dovuta a chi abitava,
negli anni Venti del secolo scorso – sopraffatto dalla miseria, dalla ricerca della sopravvivenza, da una maledetta malaria, dai monopolisti della terra, dalla palude –  a soli settanta chilometri da Roma, capitale del nuovo regno d’Italia.

Una città sciatta e sporca. Ma non c’è solo questo di discutibile nel modo in cui la nostra Città del Centenario si sta preparando ai fuochi d’artificio. A chi la guarda, essa appare in abbandono, sfatta, brutta e sporca, colma di rifiuti che essa genera ma non sa smaltire, priva di Vigili Urbani (un sindaco di altri tempi, Nino Corona, sognava il “vigile di quartiere”): oggi di Vigili ce ne sono un pugno, legittimamente impossibilitati a fare tutto quello che dovrebbero fare. Eppure ce n’erano…

Che fine hanno fatto i Vigili di un tempo? Si dice che siano stati tutti riciclati dietro comode scrivanie degli uffici comunali, in quanto vittime di malattie e di acciacchi che impedirebbero loro – con
tanto di certificato medico di inidoneità al “lavoro su strada” – di adempiere al dovere per il quale essi furono assunti per pubblico concorso.  Vi pare soddisfacente per una Città che si avvia a
festeggiare i suoi primi 100 anni? Spazzini e aiuole. Ma non di soli Vigili è carente Latina. Essa ignora un mestiere, umile ma necessario: quello degli spazzini, anzi
netturbini. Se le strade sono sempre sporche, anche se passano costosi mezzi meccanici chiamati (invano) a spazzarle, non si può non parlare dei marciapiedi: anch’essi sporchi, incrostati, coperti di resti di chewing gum, invasi da erbe, scavati, scassati, immondi, pericolosi, dissestati dalle radici di alberi, devastati da buche, riparazioni mal fatte, privi delle mattonelle, pieni di buche: e chi ne ha più ne metta. Conto circa 3 spazzini per una città di oltre centomila abitanti, la seconda del Lazio. Sono tutti concentrati nell’Isola Pedonale. Alcuni anni fa ne vidi uno all’imboccatura nord di via Epitaffio. Forse si era perso.

E chiudiamo il capitolo con le aiuole. Aiuole? Ma sono fetenti depositi di escrementi di cane, di bottiglie lasciate da ragazzi, di cartacce: tutto questo non viene tolto neppure quando – circa due
volte l’anno – vengono falciate, portando alla luce questo deposito nascosto di sozza immondizia.

Ricordo che il sindaco Delio Redi (forse qualche secolo fa) emise un’ordinanza che infliggeva sanzioni pecuniarie ai proprietari di cani che non accompagnassero i loro animaletti muniti di sacchette per raccogliere lo sterco. Dell’ordinanza si sono perse le tracce nella gestione “ordinaria” di questa città. (continua)

28 Maggio, 2025 - Nessun Commento

LA CITTA’ IN PILLOLE

Mi sono spesso chiesto come faccia un amministratore coscienzioso – di una città capoluogo di provincia – ad assumere decisioni che incidono fortemente non solo sul presente (che è per noi importante) ma anche sull’avvenire della città stessa. E mi sono sempre risposto che io non saprei farlo se non consultandomi con gente (specialisti, professionisti di vaglio, gente sulla cui affidabilità tecnica non può che farsi affidamento).

Ho anche “ammirato” gli amministratori che quelle decisioni assumono affidandosi al proprio personale gusto (buono, cattivo o inesistente) e alle proprie scelte (tecniche o paratecniche) bypassando le consultazioni e decidendo di testa propria, o quasi. E mi sono sempre risposto che ci vogliono almeno due requisiti: una faccia tosta a prova di bomba; oppure una faccia tosta e basta.

Mi riferisco al programma di arredo dell’isola pedonale e al suo primo esperimento d’ impatto con una manifestazione inadatta al luogo. L’arredo si giudica da sé: ma se avessi votato quell’amministratore o amministratori, il secondo voto non glielo darei. Ad evitare di far pensare chi legge che ce l’ho con qualcuno di specifico, chiarisco subito che sto facendo un discorso generale. Questo discorso, infatti, non si riferisce soltanto al progetto di arredo urbano dell’isola pedonale di Latina (che non ha retto neppure ad una “prova d’urto” di un modesto camioncino di ABC, che ha fatto volare in frantumi uno degli oggetti di arredo, che pure sembrava forte come una roccia. Mi riferisco anche, ad esempio, al porto-canale di Rio Marito,
vergognosamente insabbiato in un paio di anni, al punto da essere divenuto quasi un prolungamento della spiaggia.

E mi riferisco anche alla gestione del “verde” (si fa per dire) che ha reso in questa primavera la città fiorente come una prateria, grazie alle erbacce che riempiono strade, marciapiedi, fondaci, slarghi, parcheggi, asfalti. Un mio amico ha nel proprio studio professionale una gigantografia che, grazie a sapienti ritocchi cok photoshop, illustra il Palazzo della ex Intendenza di Finanza come sorgente da un rigoglioso e curato prato erboso.

Ma è un’altra cosa rispetto al “verde” spontaneo della città, che gli amministratori di Latina hanno finora “curato”, come può vedersi ovunque e in particolare dalla foto che pubblichiamo  (complanare di via Monti).

Ora, però, sembra che gli amministratori stiano intervenendo, essendosi notato qualche marciapiedi “falciato” con un frullino tosaerba. Solo che le erbe falciate non vengono (rispetto per il “verde”?) rimosse, ma lasciate al vento che, soffiando, le disperde per la città e per gli androni dei palazzi che lasciano il portone aperto. Due monumenti

E se qualcuno si azzardasse a dire che la città è priva di monumenti, dovrebbe essere mandato alla gogna. In omaggio allo spirito militaresco della sua popolazione, infatti, negli ultimi anni sono cresciuti in diverse piazze: una statua al Bersagliere, una statua all’Alpino, una statua (anzi un aereo fuori uso) all’Aviatore. Mancano ancora la statua al Marinaio, a Putin (per via dell’Ucraina) e a Netanyahu (per via di Gaza) per completare il quadro. E, invece, no, perché la città ha anche monumenti quasi antichi.

Ne diamo due dimostrazioni nelle foto qui riportate: il primo è un ex distributore di benzina in pieno centro (via …….), il secondo  e un’ex edicola di libri usati lasciata da un personaggio simpatico e sfortunato che mi metteva da parte i “gialli Mondadori” di Nero Wolf che ora sono introvabili in originale. E’ stato ammazzato dal Covid e forse non ha eredi. E neppure gli amministratori comunali dedicano attenzione a questo monumento alla Lettura, sia pure fatta con l’usato.

Che altro dire? Pronti a integrare questo breve elenco.

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