QUANDO IL CITTADINO
NON HA NEPPURE DIRITTO
AD AVERE UNA RISPOSTA
La Pubblica Amministrazione spesso è composta da persone dotate di due pessime “virtù”:
– l’ignoranza, soprattutto quella materiale, fatta di sconoscenza delle regole della buona educazione, del buon relazionarsi con gli altri, in particolare del rapporto tra cittadini e potere pubblico
– strafottenza, che consiste nell’ignorare volutamente la richiesta che perviene da un cittadino, anche se esso è petulante, ma presume di usare a fin di bene (pubblico) la sua missiva.
Nessuna delle due “virtù” è tollerabile, perché chi amministra la cosa pubblica, qualunque sia il gradino in cui è collocato, non gestisce un bene personale, ma gestisce un bene comune, e questa posizione non crea in quel “gestore” (politico, impiegato, funzionario, dirigente) alcuna posizione di privilegio, ma solo doveri, nascenti, tra l’altro, non soltanto dalla Costituzione ma anche dalla considerazione che chi gestisce è pagato dalla collettività, e quindi anche dal cittadino che a lui si rivolge.
Perché tutta questa “sparata”? Perché credo sia giunto il momento di tirare le somme del deludente rapporto che – non per colpa del sottoscritto – si è “prodotto” in questi ultimi anni con gli interlocutori pubblici ai quali mi sono cortesemente rivolto per esigere un comportamento per loro doveroso.
Mi spiego con alcuni esempi. In questi ultimi anni mi sono rivolto:
– due volte a due diversi Sindaci di Latina (non ha importanza quali), anche a nome si un centinaio di altri cittadini miei-co-firmatari, chiedendo alcuni banali interventi di ordinaria amministrazione che pago (paghiamo). Le due lettere erano indirizzate “alla persona”. Nessuno ha risposto
– una volta ad un Commissario straordinario del Comune di Latina, del quale, peraltro, avevo molta stima: anche lui non ha avuto tempo di rispondere o di farmi rispondere da qualcuno del suo gabinetto o della sua segreteria
– due volte ad altrettanti consiglieri comunali, di maggioranza e di minoranza. Aggiungo che sono anche giovani consiglieri. Non hanno mai risposto, anche se spesso sono obbligato a ricevere via telefonino loro messaggi “interessati”, perché posseggono il mio numero di cellulare
– una volta ad un altrettanto giovane presidente di commissione comunale di Latina, che mi era stato segnalato come persona sensibile e attenta. Non ha mai risposto (e stavolta era più facile, perché avevo inoltrato una e-.mail, che non mi è mai tornata indietro e, quindi, è stata ricevuta e, presumo, letta)
– almeno tre volte a diversi Presidenti della Provincia (anche qui ometto i nomi, perché la pratica è diffusa)
– una volta a tutti i capigruppo consiliari della Provincia ai quali avevo mandato un mio modesto, ma informato studio, volendo così collaborare alla loro migliore conoscenza di un delicato problema di cui stavano trattando con evidente inconsapevolezza. Mi ha risposto uno solo di essi, con un graditissimo colpo di telefono ed un ringraziamento per la collaborazione disinteressata che gli avevo dato
– tre volte ad un Presidente della Regione Lazio, che, peraltro, mi aveva esplicitamente invitato come cittadino ad usare il suo nuovo indirizzo informatico. Dopo un paio di solleciti, e a distanza di mesi, ho ricevuto risposta da uno dei tanti addetti di segreteria che mi ha consigliato di rivolgermi ad un certo funzionario regionale che, peraltro, conoscevo personalmente e che sapevo non essere in grado di darmi la risposta alla domanda che avevo proposta.
– quattro volte a capi dipartimento regionali, invocando la legge regionale sulle procedure amministrative, che stabilisce un tempo per definire una “pratica”: mai risposto
– una volta ad altro capo dipartimento regionale e contemporaneamente ad un capo ufficio regionale: anche in questo caso sono rimasto privo di soddisfazioni. E trattavo non di richiesta di piaceri, di contributi, di imbrogli, ma di un mio diritto legato ad una prestazione lavorativa.
Per onestà debbo confessare di avere ottenuto lo stesso trattamento anche da qualche autorevole interlocutore privato, che mi doveva una controprestazione in senso tecnico per un mio lavoro per lui fatto. Ma capisco che cacciare soldi fa sempre male, e giustifico più la piccola truffa consumata nei miei riguardi attraverso la mancata risposta del privato, che l’omissione di doveri d’ufficio e la violazione di una legge regionale sulle procedure consumate dai funzionari che dal 2012 non tengono conto di una mia precisa e documentata richiesta fondata su un diritto.
Ora che il Legislatore nazionale ha stabilito che ogni giorno di ritardo nell’avere risposta costerà 30 euro al mio non-corrispondente, forse potrò industrializzare quei ritardi e accumulare una certa sommetta. Sarà una ben magra soddisfazione da cittadino, ma meglio che niente.
E a partire dalla prossima lettera sarà mia cura dare all’eventuale inadempiente il giusto riconoscimento della notorietà e ne pubblicherò nome e cognome, qualifica ufficio e amministrazione.
Questi non sono fatti di un quidam de populo, ma omissioni nei confronti del dovere di risposta che compete alla Pubblica Amministrazione. (E, magari, qualcuno mi dirà che sono un ricattatore).