Archivio per Dicembre, 2015
21 Dicembre, 2015 - Nessun Commento

I 25 anni del Polo Universitario
L’UNIVERSITA’ A LATINA
MERITO DEGLI ENTI LOCALI

Il senatore Mario Costa

Il senatore Mario Costa

Il Polo di Latina dell’ Università di Roma-Sapienza ha festeggiato in questi giorni i primi 25 anni di attività svolta nel Capoluogo pontino. Sono stati anni sofferti e insieme esaltanti, che hanno conosciuto una altalena di problemi. E giustamente il Polo pontino festeggia sé stesso e oggi può dire di avere raggiunto il suo obiettivo di consolidare la sua presenza in una area periferica rispetto a Roma, di aver rispettato la legge sul decentramento, e di avere accreditato l’ ottima qualità dei suoi corsi di studio che non a caso registrano un crescente numero di iscritti e cominciano a far sentire la propria presenza nella società in cui opera.

Se un neo va rilevato in queste celebrazioni è una mancanza che, se si spiega da un punto di vista di “appartenenza”, non si giustifica dal punto di vista della ricostruzione storica di questo Polo universitario. Intendiamo riferirci al fatto che il Polo Sapienza non è nato per partenogenesi, ma ha potuto innestarsi su una piattaforma che era stata da tempo predisposta dagli Enti Locali (Comune di Latina, Provincia, Camera di Commercio e qualche altro Comune in maniera più sporadica ed occasionale). Un merito che va riconosciuto agli Enti Locali nel momento in cui i loro sforzi intuitivi, propositivi e finanziari hanno avuto un efficace sbocco nel radicamento di una università di prestigio come è quella romana.università-rettorato

E poiché queste cose vanno ricordate per una giusta ricostruzione dei fatti, non è possibile che si faccia partire la nascita del Polo di Latina dalla storia del Centro per la raccolta dei Profughi dai Paesi dell Est Europa, il “Rossi Longhi”, essendo questo solo l importante ma occasionale strumento di una stabilizzazione che era già stata raggiunta per merito degli Enti Locali.

Per chi non lo ricorda, o ricorda male, vogliamo richiamare il fatto che la sede universitaria a Latina nacque da una iniziativa, appunto, di quegli Enti, che, su idea e sollecitazioni di un uomo politico che non viene ricordato mai abbastanza, vale a dire il senatore Mario Costa, venne attuata attraverso la costituzione di una Associazione per l’ Università Pontina. L’ Associazione creò una prima sede, avviò i primi corsi di studio affidandosi a convenzioni con La Sapienza, ebbe la soddisfazione di vedere anche i suoi primi laureati; ebbe una gestione “leggera”, ossia con poche persone, con poche spese generali (a parte l’ affitto della sede di viale Le Corbusier), con modesti compensi a chi vi operava, vincendo momenti di sconforto e creando una abitudine universitaria negli stessi studenti; vincendo con caparbietà le molte difficoltà che si presentarono. Quando l’ Associazione ritenne di avere acquistato sufficiente fiducia nelle cose, gli Enti la trasformarono in un ben più impegnativo Consorzio per l’ Università Pontina, giustamente affidato per continuità a gratitudine a chi aveva fatto crescere l’ Associazione, ossia al presidente Mario Costa. E fu lui, avendo alle spalle un finalmente solidale operare degli Enti, che avviò le prime trattative per trasformare i corsi straordinari in una sede decentrata della Sapienza, grazie anche al fatto che nel frattempo era intervenuta la legge sul decentramento dei maggiori atenei. La Sapienza trovò a Latina interlocutori edotti dei problemi, agguerriti per affrontarli, forti nel sostenerli e credibili per stringere un nuovo patto. E quando i molti incontri col Senato Accademico romano ebbero maturato consapevolezza e fiducia reciproca, il Consorzio cedette tutto l impianto che aveva costruito in mano al Rettore Magnifico romano, e deliberò il proprio scioglimento nel momento in cui La Sapienza diveniva la titolare unica del Polo universitario di Latina, che trovava sede nell’ ormai da tempo abbandonato Campo Profughi, dove oggi si trovano uffici e Facoltà.

Questa ricostruzione è stata storicamente frettolosa, e ha glissato alcuni passaggi non decisivi, ma se la stessa Città di Latina vuole partecipare ai festeggiamenti per i 25 anni, deve anche rivendicare il ruolo che giocò insieme a Provincia e Camera di Commercio. E ricordare anche oggi il nome di Mario Costa, che non a caso campeggia nella locale Biblioteca universitaria, intestata al suo nome.

9 Dicembre, 2015 - Nessun Commento

LATINA I PINI DI VIALE ITALIA
UNA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE

viale-Italia-ora-è-così-635x476albero-viale-Italia-635x476Latina sta affrontando uno dei momenti di “rivoluzione visiva” che sarà fondamentale e la segnerà per i prossimi dieci-venti anni. E” stato deciso di abbattere – un poco alla volta, per grandi settori – gli svettanti pini che costituiscono uno degli aspetti più tipici della “città di fondazione”. Grandi viali di pini, ormai altissimi, accompagnano alcuni dei suoi punti più significativi: il Viale Italia che porta dallo edificio futurista di Angiolo Mazzoni alla grande piazza del Quadrato (e non Quadrata come qualcuno, sbagliando, scrive); il viale Mazzini, dalla mitica piazza Dante lungo il percorso degli Istituti secondari fino al Tribunale; e presto dovrà decidersi ad affrontare quell’ enorme problema di pericolo pubblico che è via Epitaffio. I pini in questi poco meno che cento anni di vita della Città sono cresciuti secondo natura, raggiungendo e superando i 20 metri di altezza. Ma sono stati sempre gestiti tanto male che occorre provvedere ad eliminarli prima che facciano qualche vittima cadendo, come già è accaduto. Sono stati trascurati, mal potati, peggio mantenuti nelle aiuole, soffocati a volte da lastricati inevitabilmente sbaraccati in pochi anni dalla potenza delle loro radici superficiali. Si sono incurvati, piegati, adagiati, crollati sotto il loro stesso peso. Alcuni sono caduti in zone frequentata (pensate alla folla di studenti di viale Mazzini) e non hanno ammazzato nessuno perché negli incidenti ci può scappare anche la fortuna. Ma sul desktop di questo PC vi è una voto di viale Mazzini con quegli stupendi e rischiosissimi pini: un’ immagine alla quale difficilmente si riesce a rinunciare, ma che sarebbe criminale continuare a ignorare.

Bene: ora si sta cominciando da viale Italia, che è tra i più significativi, e qui sta avvenendo una rivoluzione visiva che ha lasciato perplessi molti cittadini ed ha innescato una polemica che, francamente, non sta in piedi. Nel giro di qualche giorno siamo passati da una visione di verde elegante e verticale, ad una immagine tipica di una area devastata dalla guerra: chiome sparite, tronchi abbattuti, scheletri di alberi che lanciano verso il cielo il loro ultimo grido prima di cadere sotto la motosega. Immagine davvero apocalittica in una città “nuova” (ma rifiutata dagli amministratori, disconosciuta e violentata in nome del cemento più incolto e selvaggio). Una immagine simile a quella di “questo” viale Italia l’ avevamo già registrata qualche anno fa, quando il Punteruolo rosso aveva fatto seccare le palme di piazza della Libertà, oggi deserta e assolata, e privata di quell’ ornamento indispensabile che è il verde urbano. Ma nessuno ha pianto, e nessuno ha detto nulla.

Per viale Italia si tratta di capire come esso dovrà essere di qui a cento anni: ancora con pini ripiantati (e ci si augura meglio gestiti), oppure con i lecci, che sono pianta autoctona, ma impiega decenni per cominciare a mostrare la propria possanza; e che esige comunque manutenzione; e che sporca nei mesi di produzione delle ghiande… Si è scelto di ricostruire il viale Italia che conoscono le generazioni di Latinensi che vanno dagli anni Trenta a quelli che stiamo vivendo. E qui si è scatenata una inutile e francamente oziosa polemica. Questo è un blog, che ospita le idee di chi scrive questo articolo, ma anche di chi volesse dire le proprie. Le mie sono queste: si sta facendo bene. La città non subirà alterazioni rispetto al suo “rendering” originario, alla sua “cultura” del verde urbano di fondazione (non dimenticate quello che è stato fatto a piazza del Popolo con le aiuole di mirto distrutte al momento del ricambio). Insomma, a noi sta bene così: i pini ci mettono poco a crescere, e tra dieci-venti anni il viale sarà quello che oggi si sta abbattendo. Poi il problema passerà alle generazioni che vivranno in città tra cento anni. Come è giusto che sia.

Chi polemizza lo fa soprattutto in nome dello scempio che oggi appare: i vuoti, la mancanza di alberi, lo squallore. Sì, certo, non fa piacere a nessuno: ma provate a pensare un attimo. Una città è un organismo che vive, e che si muove e che cambia. Quando i cambiamenti sono fondamentali occorre farsi forza e viverli come necessari momenti di transizione nel cammino evolutivo di una città. Una città non si misura sull’ arco dei mesi, ma dei decenni. Pensate a quello che è accaduto in “quartieri di espansione” orrendi aggregati-alveari fatti di case e basta, Avete sentito una protesta… Quando cambiate lo abituale taglio dei vostri capelli i vostri amici se ne accorgono e lo sottolineano. Due giorni dopo è finito tutto, perché la vita dell uomo scorre veloce. La vita di una città ha ritmi più lenti e lontani. Qui i due giorni sono almeno venti anni. Non vi lamentate se viale Italia resterà senza ombra degli alberi per qualche decennio. Se lo godranno le nuove generazioni e lo godranno a lungo, come ce lo siamo goduti noi prima che il ciclo vitale dei pini si compisse. Ma Latina resterà quella che era quando fu disegnata alle sue origini (e sempre che a qualche cappellaio matto non scappi qualche idea balorda). In fondo, si sta compiendo una “rivoluzione conservatrice”. Un ossimoro per tenerci la nostra Città. E forza a tagliare anche altrove!

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4 Dicembre, 2015 - 1 Commento

FORMIA/CASTELLONE
ELOGIO DI UN BORGO

IMG-20151203-WA0015Formia è tradizionalmente divisa in due antichi quartieri, o borghi, che hanno lungamente avuto, per secoli, netta separazione amministrativa. Immediatamente prima del 1861 si riunirono nel ritrovato nome classico di Formia (Formiae) di cui sono tuttora specchio ed anima duplice. L’ uno marino (Mola), l’ altro collinare (Castellone), ma con affaccio sul lido di Bbasciammare. Dopo avervi lungamente vissuto, ho lasciato Formia per lavoro, mai abbandonandola del tutto, perché vi conservo antichi amici e interessi legati ai miei studi e alla mia professione.

Questa estate sono tornato a Castellone, per riscoprirne gli antichi sapori e l’ ho trovato un delizioso quartiere “di paese”, emancipato da una riorganizzazione che, se da una parte gli ha tolto alcuni connotati di antichità, dall’ altra gli ha conferito un decoro straordinario, una organizzazione civile che è raro trovare altrove, colori, motivi, disegni, stradine, case, riscoperta di mura poligonali e del cisternone romano, una autentica cattedrale sotto il suolo edificato, secondo la tecnica straordinariamente funzionale e ispirata alla monumentalità dei Romani, quelli “buoni”. E mi è piaciuto rivisitarlo da turista, guardandolo di sera, osservandone il tessuto viario e, soprattutto, cercando di coglierne l atmosfera. Ed ecco quanto mi è venuto di osservare.

Calda sera di un inatteso novembre di mare, di tepore, di cuori liberi. Nessun programma preciso, ma l’ idea di far trascorrere qualche ora – o qualche mezza ora – senza impegni di cliché (il cinema, il bar, un incontro con amici) alla ricerca di cose che non conosciamo, che forse immaginiamo ma non ci azzardiamo a dare per scontate. E così, sono iniziati i classici due passi lungo le viuzze del quartiere medievale-ottocentesco. Anche quell’ andarsene senza meta per vicoli sconosciuti contribuisce a creare una atmosfera alla quale non siamo più abituati, forse, per via dell età, forse per il timore di essere sbirciati da qualche curioso. Ma forse neppure questo è vero.

IMG-20151203-WA0014IMG-20151203-WA0013La verità è che ci si trova bene a perdere tempo da soli, un poco pensando e un poco perdendo tempo, di sera, nelle viuzze di un quartiere medievale-ottocentesco. Accompagna i passi, oltre al tepore della serata che declina verso la notte, un inatteso silenzio che circonda le case pure già affollate, ma dalle quali non esce un grido, né lo stridore di una canzone strillata alla radio, neppure un innocente rimprovero a voce alta, di quelli che si fanno in ogni famiglia che si raccoglie per la notte. I primi passi muovono nei vicoli badando di non fare rumore. Non lo chiede nessuno, sento di doverlo al quartiere. La luce illumina le stradine tortuose e linde che segnano le curve di livello della collina sulla quale sorge il quartiere. È una luce bastante a dare piena l’ immagine degli scorci, dei percorsi, dei piccoli archi gettati da casa a casa a sostegno reciproco, dei palazzotti antichi, accompagnati dalle ombre create dalle lampadine, efficienti ma non cafone, né lampadari falso Ottocento, né lampioni finto-gas. Sole e semplici lampade nate per fare il loro mestiere. E lo fanno bene. Accompagnano con la loro cauta, raffinata e non ingombrante luminosità, la luminosità davvero insolita di strade pulite, sempre pulite, arredate con piante sempreverdi, sempre amorevolmente accudite, con le quali i casigliani fanno omaggio al loro risiedere insieme in quell’ antico borgo e contribuiscono a darne una immagine di vivacità mai impolverata dal tempo. Ai palazzi si susseguono rari negozi anche essi antichi più che vecchi, la pubblicità della mozzarella di bufala scritta a mano, e pochi esercizi pubblici moderni – un bistrot, una trattoria, una pizzeria – o il monumento romano del cisternone che sostiene con la sua volta poderosa e sotterranea la piazzetta Sant’ Anna.

Sono quei passi silenziosi che fanno vedere tutto dolce, tutto sereno, tutto ordinato, o è l’ anima del quartiere che emerge nel IMG-20151203-WA0016silenzio della notte e ci accompagna… Imbocco stradina dietro stradina, scalinatella dietro scalinatella, arco dietro arco, senza sapere dove finirà quella piccola strada, magari in un fondaco chiuso, che ci invita a tornare sui nostri passi. Ed è bello tornare sui nostri passi, allungare il percorso, aiutandoci così a far trascorrere il tempo che manca al rientro. Un seguito di colori rosati, celesti, crema, bianchi, di scale, di discese e di salitelle, di finestrelle illuminate dalle quali non si affaccia nessuno perché la riservatezza è la dote principale del borgo. Non interessa, non deve interessare chi cammini a quell’ ora e perché, e ci si sente davvero liberi, per cogliere quella sensazione di serena gioia, di vibrazioni che ci accompagnano. Nessuna parola – a che servono le parole, quando il silenzio trionfa – qualche foto rubata qua e là, basta questo scenario sul quale si apre, improvviso uno slargo, quasi una terrazza che si spinge tra due alti palazzi invecchiati dal tempo e dalla lontana guerra, aprendo uno squarcio di libertà verso il mare di Scauri e del Garigliano. Qua sotto sta Formia, una parte di Formia, quella che si allinea lungo via Filippo Rubino, e che scende verso piazza Santa Teresa. Ma è già un altra Formia. A me interessa quella del buon odore che aleggia ancora nell’ aria da un piccolo forno che produce tielle e focacce e casatielli e biscotti farciti di mandorle o di marmellata; e quella delle case del borgo, che continuano a sfilare consentendo di coglierne, insieme alle antiche date scolpite sulla chiave di volta del portoncino, la delicatezza cromatica – pastello, acquerello, chissà – le geometrie segnate dalle bianche lesene aggettanti dalle facciate o scolpite sugli angoli che salgono impervi verso il cielo stellato.

“Gliu Palazzo” ha un colore celeste pervinca, e una orgogliosa targa in ceramica con sopra quella scritta, a segnalarne la differenza nobile – nobiltà di denaro prima che di sangue, forse spagnolo – che la porta a distinguersi dalle altre, sollevata da una erta e stretta scalinata di pochi gradini, che individua il suo sollevarsi dal comune basamento. Sono momenti di una grandissima pace, di uno sprigionarsi di amore che non ha bisogno per manifestarsi di altro che continuare a muoversi delicatamente e a camminare, mentre la notte e il suo silenzio calano sui passi che ora cercano di affrettare il rientro e rendere definitiva quella straordinaria confidenza notturna col borgo.