8 Novembre, 2014 - 1 Commento

LE MANI SULLA CITTÀ (LATINA)
E IL SINDACO SI DIMETTE

 

latina dall'altoIl mondo è in crisi e la città di Latina si allinea diligentemente in questa corsa al peggio. Sembra essere tornati a quando, nel dopoguerra, i cittadini si lamentavano di aver acquistato un appartamento in un palazzo costruito in mezzo alla campagna (come era allora il capoluogo di provincia), senza strade, né luce. Ma vi erano i palazzi, che nascevano dove capitava. Ora sta succedendo lo stesso, a leggere i giornali di questi giorni, sperando sempre che vi sia un filino di esagerazione. Ma se il quartiere Isonzo si aspetta altri 40 mega palazzi e una nuova cubatura di 100 mila mc, vi è da pensare che non ci salviamo più. Anche perché si scoprono alcune magagne macroscopiche. I palazzi invadono anche i marciapiedi. Ma non è una novità: basta andare a guardare il palazzo che si è divorato un terzo del marciapiedi di via Monti, senza che il Comune abbia fatto nulla, neppure comunicare se è un fatto lecito o un abuso. Si è limitato a non rispondere alla protesta di un cittadino contribuente. E, allora, non resta che ringraziare la Magistratura che sta sveglia. E apprezzare il gesto di protesta dell’ attuale Sindaco Giovanni Di Giorgi, che ha avuto un moto di ribellione contro il saccheggio della città e il saccheggio delle coscienze, e l’ immigrazione di società sospette, e ha rassegnato le dimissioni. Si è detto disposto a ritirarle solo se gli consentono (i partiti che hanno votato i 100 mila mc e che pilotano il navigatore satellitare dei disinvolti imprenditori pontini) di gestire il Comune con una giunta fatta di tecnici nominati da lui e con dirigenti nominati parimenti da lui. Come dire che l’ avvocato-sindaco Di Giorgi non ha la benché minima fiducia nei suoi assessori e nei dirigenti comunali. Almeno di alcuni. E davvero pazzesco che tutto ciò passi come una “normale crisi politica”. Altro che normale crisi e per di più politica: è la confessione che la Città sta precipitando verso il basso, fino alla putredine.

4 Novembre, 2014 - 1 Commento

LA MORTE DI RALEIGH TREVELYAN
HA RACCONTATO LA GUERRA AD APRILIA

RALEIGH TREVELYANRaleigh Trevelyan è morto a Londra, presso il Chelsea and Westminster Hospital, il 23 ottobre scorso, ma la notizia ci ha raggiunto solo ora. The Times gli ha dedicato un significativo ricordo, come scrittore e come uomo. Anzi, come gentiluomo, perché tale Raleigh era. Nato nelle Isole Andamane – che aveva rivisitato un anno fa in una sorta di pellegrinaggio della memoria – era rientrato a Londra con la sua Famiglia, dedicandosi agli studi. Arruolato nell’ Esercito britannico come giovanissimo sottotenente, era Stato destinato al fronte italiano, ed in particolare all’area a sud di Roma compresa tra il mare e Aprilia, The Factory, come viene ricordata nelle carte di guerra inglesi. A quell’ epoca Aprilia era ancora un piccolo quadrilatero urbano, segnato da edifici di stile razionalista, con una popolazione di circa duemila anime, sparse tra il minuscolo impianto urbano e la campagna. Quelle “quattro case” finirono al centro della sanguinosa battaglia per la conquista della strada per Roma da parte alleata e per la resistenza ad  oltranza delle divisioni tedesche, che vi schierarono le migliori truppe, tra le quali la Prima divisione Panzer SS Adolph Hitler. Trevelyan visse i mesi di quella terribile serie di battaglie che si susseguirono tra la fine di gennaio e i primi di marzo 1944, per concludersi a maggio del 1944, quando fu lanciata l’ offensiva finale per sfondare il fronte “romano”, dopo l’ avvenuto arretramento della Linea invernale Gustav sul fronte Cassino-Garigliano-Tirreno. Trevelyan ha consegnato la sua esperienza di giovanissimo ufficiale e di valente scrittore al suo primo libro che reca il titolo inglese di The Fortress, la fortezza, per ricordare la durezza degli scontri. Il libro, èdito dalla Penguin Book, ebbe grande successo e conobbe  diverse ristampe. Poi Raleigh fu trasferito a Napoli, e di questa seconda fase ricorda altre vicissitudini,  insieme alla battaglia sulla Linea Gotica, a nord di Roma, prima di entrare a Firenze. Particolarmente efficaci sono le pagine che Trevelyan ha dedicato ai combattimenti che consentirono la rottura della linea di difesa tedesca a ridosso di Aprilia-Campoleone e che aprì la strada verso i Colli Albani e Roma.

Ho conosciuto Raleigh in occasione di una delle sue periodiche visite a quello che fu il teatro delle battaglie vissute negli anni Quaranta del Novecento e che gli avevano lasciato un indelebile ricordo. Si sviluppò un’ amicizia che è durata fino alla sua morte e che si è alimentata con uno scambio di lettere spesso intenso e di incontri in Italia e a Londra. Qui volle invitarmi, insieme a qualche altro amico, alla presentazione del suo libro Rome 44, che ricostruisce i mesi dell’attesa della liberazione, e per me, che avevo da alcuni anni iniziato personali ricerche sulla storia della II Guerra mondiale a sud di Roma, fu un’ occasione unica, perché ebbi modo di stringere la mano a personaggi che fino allora mi erano apparsi come mitologia di guerra, attori dei libri di storia che andavo leggendo. E il mitico Parliament del campanile della Big Ben fu la sede di quegli incontri. La sera Raleigh volle trattenere i miei amici e me nella sua bella casa di Hertford Street in Mayfair, dove aveva radunato suoi amici importanti, tutti legati ad una fervida ammirazione per l Italia, da colui che aveva organizzato il primo concerto di musica da camera nella Roma appena liberata, a colui che presiedeva un’ associazione di amici di Firenze o di Venezia, a scrittori che avevano dedicato la loro attenzione al nostro Paese. E all’Italia e ai suoi rapporti con l’Inghilterra Raleigh mantenne sempre viva la sua attenzione di ricercatore e di scrittore, e il suo affetto, visitandola e dedicandole diversi libri: un’ ancora oggi valida Guida della Sicilia, per le Companion Guides; il racconto delle maggiori famiglie inglesi che vissero nella stessa Sicilia, dal Marsala alla collezione Whitaker (Princes under the Volcano); al ricordato Rome 44. Raleigh è stato soprattutto saggista e storico, sulle orme del lontano parente George Macaulay Trevelyan, ma anche romanziere e cultore di storia del paesaggio (A hermite disclosed).  Conoscendo i miei interessi per quell’ area storica, mi regalò diversi libri di storia inglese della Seconda Guerra mondiale, e quasi tutti i Suoi libri, incluso quel Sir Walter Raleigh, che è la biografia del suo antenato, navigatore e poeta, che finì i suoi giorni nella Torre di Londra dove venne decapitato come a volte accadeva a chi appariva troppo ingombrante alla corona. Ho avuto anche il privilegio di essere da lui autorizzato a tradurre la prima parte di The Fortress, per ricordare i 10 anni del Rotary Club di Aprilia-Cisterna, e i 60 anni degli eventi di guerra da lui narrati. Raleigh ha avuto una lunga vita, vissuta in una solitudine domestica interrotta dalla compagnia di qualche amico fedele. È scomparso a 91 anni, che sono una bella età, ma che sembrano sempre pochi quando si parla di una persona che ha lasciato qualcosa di se stesso, soprattutto dei modi da vero signore, e di vero cultore delle cose belle, come la sua casa in Cornovaglia, sulle rive del fiume, dove andava a ritirarsi per dedicarsi ai libri che scriveva o per lasciare una Londra elegante ma a volte soffocante.

28 Ottobre, 2014 - 3 Commento

Una polemichetta ormai superata
ISOLE PONZIANE O ISOLE PONTINE

isole pontineUn amico, Paolo Iannuccelli, appassionato di storie dell’ Arcipelago Pontino (o Ponziano, come un tempo si chiamava, che comprende le isole-Comune di Ponza e Ventotene) ripropone una polemichetta linguistica, che ritenevamo superata dai tempi. Quei gioielli di isole come debbono essere chiamate: col nome di Isole Ponziane, come scriveva nella metà dell’ Ottocento il ponzese Giuseppe Tricoli; o Pontine, come da oltre sessanta-settanta anni anni scrivono giornali, riviste, filmati e tutta la pubblicità turistica che le ha rese celebri insieme al loro mare trasparente, ai colori che entusiasmarono anche Norman Douglas, le splendide cale e spiaggette e faraglioni e picchi e punte?

Scrive Iannuccelli, che polemizza con gran garbo e merita altrettanto rispetto: “Ponziani o pontini, isole ponziane o isole pontine?”. Rispondo che non mi sognerei mai di chiamare “Ponziani” i “Ponzesi”, così come non mi sognerei mai di chiamare “Ponziani” i “Ventotenesi”. E, comunque, i nomi sono “fatti”, sia nel senso che sono realtà, sia nel senso che vengono fatti, attraverso l’ uso comune. Iannuccelli scrive un lungo articolo su “ParvaPolis” (cercare nel web). Io mi debbo accontentare di meno spazio. Perché proprio io? Perché proprio io sono tirato in ballo avendo sempre chiamato le isole come Pontine, ed essendo, perciò, additato alla pubblica riprovazione come “autore” di quel nome per averlo usato in centinaia di migliaia di opuscoli turistici e di pubblicazioni turistiche. E come me alcune migliaia di giornalisti, di cronisti, di cinematografari, tutta gente che ha una qualche confidenza con le parole. Iannuccelli argomenta che “queste isole, posizionate di fronte al meraviglioso golfo di Gaeta, non hanno niente in comune con il termine Pontino o Agro Pontino o Paludi Pontine”. Ma, a parte che esse sono posizionate davanti all’ arco marittimo Terracina-Circeo (basta guardare la mappa nautica e misurare le miglia marine dalla costa), nulla viene portato a sostegno della vecchia denominazione difesa (Ponziano-a), se non la tradizione antica; ma altrettanto nulla viene portato come dimostrativo contro la denominazione Pontine, che io mi limito a basare sulla constatazione dell’ uso comune che di quel nome si fa da diverse decine di anni. In altri termini, la mia tesi è che la lingua evolve ed anche la toponomastica. Se così non fosse, l’ Italia dovremmo chiamarla Enotria o Esperia o Ausonia; la Sicilia, Trinacria; il Lazio, Etruria; la cittadina di Esperia, Roccaguglielma; Monte San Biagio, Monticelli; e Formia sarebbe ancora Mola di Gaeta e Castellone. E che ne direste se andassimo a “passare le acque” ad Anticoli di Campagna anziché nella celebre Fiuggi; o se volessimo fare un’ escursione sui monti Lepini o Ausoni o Aurunci, dicessimo: andiamo sui Monti Volsci; o se, parlando della moderna Minturno-Scauri, continuassimo – nel linguaggio ufficiale – a chiamarla Traetto, come pure alcuni abitanti ancora la chiamano, con un nome che appartiene alla storia, non all’ oggi; o se la bella cittadina di Borgorose (Rieti) la chiamassimo Borgocollefegato, come si chiamava fino ad alcuni decenni fa; o se chiamassimo Milano col nome nobile, ma trapassato di Mediolanum (la banca ci perdoni); o Bologna come Bononia; o Priverno come Piperno; o Campoverde come Campomorto? Il vocabolario, anche toponomastico, evolve con gli anni. Certo, le nostalgie non vanno represse, ma solo comprese. Oltre tutto, mentre io azzardo una tesi – discutibile, ma esistente – che vede la parola ponz-iano come avente radice comune con pont-us, ossia mare – neppure un’ argomentazione scientifica o una spiegazione o di provenienza radicale viene opposta dall’ altra parte. Infine: il Comune di Ventotene ha votato alcuni anni fa una delibera con la quale rifiuta di essere chiamata isola “ponziana”. Che altro dire. So di dispiacere a Paolo Iannuccelli, ma lui avrà certamente spirito per accettare il mio dissenso; come so di dispiacere a molti amici ponzesi, che sostengono la stessa tesi che a lungo mi ha diviso dall’ indimenticato Ernesto Prudente, appassionato di Ponza e delle Ponziane. Ma io, forse sbagliando, seguo i tempi che viviamo e che chiamano le ex Isole Lipari col nome di Isole Eolie (che è anche molto bello). E le ex Ponziane col nome di Pontine. Così come, ormai, è divenuto comune chiamare anche l’ estremo lembo sud della provincia di Latina (gli Aurunci) col nuovo deprecato ma ormai usato da tutti con lo aggettivo toponomastico di Pontino. Amen.

 

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