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15 Giugno, 2019 - Nessun Commento

CASTELFORTE: INAUGURATO
IL PRIMO MUSEO DELLA LINEA GUSTAV

AEREO DA CACCIA 001 (2)La Linea Gustav ha costituito per lunghi mesi la prima linea della opposizione tedesca alla risalita alleata dopo lo sbarco in Sicilia dell’11 luglio 1943. Questa linea di difesa invernale fu organizzata dal Comandante supremo delle forze tedesche in Italia, Albert Kesselring, e fu il possente ostacolo che bloccò le truppe anglo-americane dal settembre 1943 al maggio 1944, quando, tre mesi dopo lo sbarco di Anzio-Nettuno e l’apertura del secondo fronte in Italia, furono lanciate sui due fronti le Operazioni Diadem e Buffalo che portarono, tra l’11 maggio (Gustav) e la fine dello stesso mese (fronte di sbarco) alla conquista di Roma (4 giugno 1944).

La Linea Gustav, al pari della Linea Gotica (sull’Appennino laziale-tosco-emiliano) è entrata nei manuali di storia della guerra, perché porto alla temporanea neutralizzazione dell’esercito più forte da parte di quello più debole per numero, qualità e quantità di mezzi impiegati. Kesselring basò il suo progetto difensivo su due capisaldi: le asperità del terreno collinare-montano e la possibilità di un suo controllo relativamente agevole; e la impossibilità dell’avversario di utilizzare i mezzi tecnici (soprattutto veicoli e armi a motore: camion, carri armati, semoventi, bulldozer) su strade inesistenti e in ambienti impercorribili. Fu, quindi, una guerra ad armi (quasi) pari, combattuta con obici e cannoni, per maggior parte con la fanteria, da parte alleata, oltre che con il massiccio impiego della forza aerea, che i tedeschi non potevano ormai quasi più schierare.

Particolarmente efficace risultò la risorsa Natura che, unita a quella del clima invernale, costituì l’arma non tanto segreta alla quale i tedeschi si affidarono senza impiegare troppi combattenti. La battaglia per la Linea Gustav si svolse dall’Adriatico (Ortona a mare) al Tirreno (Castelforte, Minturno, Formia e Gaeta) ma si concentrò su una delle pochissime vie di accesso alla strada per Roma, la via Casilina, con la strozzatura di Cassino. La resistenza a Cassino e la folle e inutile distruzione dell’Abbazia di Montecassino sintetizzarono coi loro nomi questo episodio della II guerra mondiale in Europa. E “battaglia di Cassino” essa fu giustamente chiamata. Ma la battaglia di Cassino fu vinta altrove, e precisamente sulle aspre colline che si affacciano sul fiume Garigliano, e precisamente sul versante aurunco di Castelforte-SS Cosma e Damiano, San Giorgio a Liri, Esperia, Minturno.

Per essere ancora più precisi, fu Castelforte la chiave di volta, la vera icona di quei giorni di guerra. I monti che si affacciano verso il fiume, difatti, sono tra i più aspri per la loro conformazione geologica fatta di una superficie del tutto glabra, sassosa, mal percorribile anche agli animali. Non a caso quei pendii potevano essere difesi con isolate casematte o trincee o punti di stazionamento di cannoni e semoventi, con sbarramenti che si avvalevano della roccia e dei numerosi ambienti riparati che vi si trovano. Bastavano pochi e addestrati uomini per presidiarli. E bastarono relativamente pochi uomini ben addestrati a conquistarli. I parà tedeschi da una parte, i reparti coloniali che combattevano nel Corps Expedictionnaire Francaise a piedi, in piccoli gruppi (i goumiers marocchini che provenivano dalle aspre montagne dell’Atlante sahariano e che, quindi, sapevano come muoversi). L’Operazione Diadem fu avviata con un pesante fuoco distruttivo di decine di migliaia di bocche da fuoco alleate, che sfruttarono anche l’effetto psicologico dei “grandi numeri” e dei “grandi rumori”, ma terminò con lo sfondamento della Linea in un tratto di qualche chilometro (forse meno) sulle montagne di Castelforte, dove le truppe marocchine, lanciate in avanscoperta a fare il lavoro peggiore di neutralizzare una difesa ancora fresca e agguerrita, riuscirono in poche ore a superare il sistema di trincee e arroccamenti tedeschi e a costringere l’intero schieramento difensivo ad arretrare per evitare di essere colto a sua volta alle spalle. Alla fine della giornata del 12 maggio partiva l’avviso di ritirata, che fu attuato in perfetto ordine e senza troppi danni fino a Roma e poi alla Linea Gotica.

 

7 Giugno, 2019 - Nessun Commento

CHIUDE DOPO 60 ANNI
LA SCUOLA NATO DI LATINA

FOTO NATO LATINALa Scuola di Telecomunicazioni della Nato di Latina ha smesso di operare. E’ stata trasferita in Portogallo. Aveva sede a ridosso di un borgo di Latina, Borgo Piave, e vi è rimasta per sessanta anni. Latina perde un comando militare importante, legato alle telecomunicazioni, ossia alla tecnica, ma perde anche una non piccola comunità fatta di militari, di collaboratori civili, di famiglie di militari che venivano a frequentare e ad arricchire la città di un pot-pourri di persone giovani e motivate, alle quali offriva la sua ospitalità, le sue scuole per le migliaia di bambini che si sono succeduti tra i banchi, i bei luoghi che circondano Latina, il mare, il lago di Fogliano, Ninfa, la storia della collina. Decine di alti ufficiali si sono succeduti a guidare la Scuola di telecomunicazioni ed ognuno di essi ha lasciato una positiva traccia del suo passaggio, sia nelle cose che nei rapporti cordiali che legavano la città ai suoi Ospiti. Sono stato più di una volta io stesso ospite della Scuola, anche quando si chiamava DAT, Direzione Aerea Territoriale. Ho conosciuto qualche Ufficiale comandante, ho sempre riportato un forte senso di empatia. Ho servito a suo tempo come Aviere Governo Leva – così si chiamavano i soldati semplici dell’Aeronautica militare. benché fossi laureato. Mi interessava quel tipo di esperienza, piuttosto che sperimentare d a allievo ufficiale di complemento il comando di qualche ufficio secondario. Ho servito presso l’Aeroporto Enrico Comani, anch’esso Scuola, ma di volo ad elica, che ha formato migliaia di allievi piloti ti numerose Nazioni amiche, nella parte essenziale del loro percorso formativo, quando dovevano imparare a padroneggiare i comandi dei Beechcraft e poi dei Piaggio che costituivano la dotazione della Scuola quando io mi trovavo là. E’ stata una esperienza durata poco per mie ragioni familiari, ma ho potuto godere a pieno di essa, avendo percorso tutti i compiti che il Comando richiedeva da un Aviere. Incluso il servizio all’alto Ufficiale che comandava il mio settore. In quell’ambiente, diverso dalla Scuola Nato, si viveva una sorta di campanilismo “buono” con la stessa Scuola Nato. Noi – anche io che ero un “piombino”, ossia destinato a restare a terra e non a volare – ci sentivamo più determinanti nello scacchiere militare. Noi facevamo volare gli aerei, e non sapevamo esattamente a cosa servisse una scuola telecomunicazioni. L’ho capito dopo quando, smessa la divisa, mi sono dovuto occupare da giornalista di quella piccola ma perfetta struttura.

Di essa qui voglio parlare per due ragioni. La prima è che si sapeva da anni che la Scuola sarebbe stata dismessa, eppure nessuno, dico nessuno tra i politici e gli amministratori della città, si è mai occupato e preoccupato di prevenire e di scongiurarne la chiusura. Si può dire: meglio per la città che sia stato allontanato un possibile obiettivo militare. Ci accorgevamo che c’era un obiettivo quando l’aria si surriscaldava, prima durante la “guerra fredda”, poi con la guerra nei Balcani. Eppure dalla Scuola NATO non è mai trapelato un senso di preoccupazione che allarmasse la Città. Erano dei perfetti uomini responsabili che conoscevano gli effetti dell’allarmismo. Era una struttura fatta di uomini, di famiglie, di movimento di denaro. E questa è la seconda ragione per cui ne parlo. In sessanta anni – tanto è durata la permanenza della Scuola NATO – decine di migliaia di persone hanno contribuito a sostenere l’economia cittadina. Qualcuno ha provato a fare due conti, e ne è venuto fuori che lo spostamento in Portogallo toglierà a Latina un movimento di denaro in termini di spese fatte in città prossimo ai 5,5 miliardi di euro. Una bella sommetta.

Eppure non abbiamo letto una sola richiesta di informazioni, una interrogazione, una rivendicazione, una petizione che scongiurasse la chiusura. Io non so perché, perché nessuno ne ha mai voluto parlare. Segreto militare? E’ troppo poco, considerato che la Scuola appariva indicata su tante tabelle stradali, e non operava in segreto. Operava alla luce del sole. Ora non resta che farne l’epitaffio. Ed è un peccato. La Città è oggi un po’ più povera sotto diversi aspetti. Soprattutto umani.

 

12 Maggio, 2019 - 2 Commento

LA SCOMPARSA DI MARCELLA ALBERGATRICE DAL SORRISO DOLCE

Cosmo e Marcella 2
Marcella Nicolussi aveva conosciuto il mare di Sperlonga quando, ancora giovane, aveva iniziato la sua professione di guida turistica ed accompagnava i clienti dell’Agenzia per la quale lavorava facendo loro scoprire le meraviglie della nostra riviera. Io l’avevo conosciuta in questo suo impegno professionale, ed ero compiaciuto per il fatto che veniva dal Trentino, che è la terra di origine di mio Padre; per il fatto che dimostrava grande cortesia, unita a grande efficienza sul lavoro; per il fatto che portava clienti dalle nostre parti, quando nel 1969 mi inventai una sigla che ha fatto fortuna, La Riviera di Ulisse. Allora lavoravo anche io nel turismo. Conobbi Marcella e Marcella conobbe Cosmo Di Mille, un capitano di lungo corso originario di Gaeta, che aveva deciso di lasciare il mare navigato per vivere in faccia al mare di Sperlonga in un albergo che con mille difficoltà e un entusiasmo straordinario stava mettendo in piedi, in località Fiorelle. Lo chiamò, difatti, Park Hotel Fiorelle. Cosmo e Marcella trasformarono il loro rapporto professionale tra guida e albergatore in un rapporto d’amore forte e duraturo:  è durato più di 50 anni e ha consentito loro di far crescere la loro piccola ma stimata azienda dell’ospitalità e di sviluppare un affetto e una stima reciproca che li ha tenuti saldamente uniti per tutto questo tempo. Avevano entrambi varcato da qualche anno la soglia dei 90, sempre in perfetta efficienza e sempre dedicandosi l’uno all’altra ed insieme al loro albergo. Ora Marcella ha lasciato Cosmo e il Park Hotel Fiorelle, accompagnata dall’affetto di tante persone che l’hanno conosciuta con quel sorriso dolce e timido che le illuminava sempre il volto. Io di lei ricordo quel sorriso, ricordo la sua delicata gentilezza, ricordo la sua capacità manageriale e il suo grande rispetto per quello che rappresentavo, cioè chi doveva sorvegliare che la loro azienda filasse secondo norma. Ma non c’era davvero bisogno di sorvegliare nulla. Sapevano essi stessi sorvegliare quello che facevano con efficacia, rigore e grande spirito di ospitalità, Ciao Marcella, ti ricorderemo.
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