COME NACQUE LA FOCE DEL LAGO DI CAPROLACE
Chi ha familiarità con i laghi costieri pontini, sa bene che essi comunicano con il mare attraverso alcune foci che assicurano il ricambio delle acque ed eliminano una delle principali cause della eventuale putrefazione degli organ ismi che li abitano. Ma è una curiosità storica – sono ormai passati oltre ottant’anni – conoscere come fu aperta la foce del lago di Caprolace, al di fuori delle strategie di bonifica che hanno interessato i due maggiori stagni, ossia il lago di Paola (Sabaudia) e quello di Fogliano (Latina). Il racconto viene da Gelasio Caetani, che descrisse l’episodio in un articolo tecnico che pubblicò sulla rivista mineraria americana The Explosives Engineer, nel gennaio 1925. Poco dopo la fine della prima Guerra mondiale, il fratello di Gelasio, Leone Caetani, al quale il padre Onorato aveva lasciato la maggior parte delle sue propriuetà, e tra esse anche i laghi costieri, decise di aprire un varco alle acque del lago di Caprolace. L’intento era di migliorare le condizioni di allevamento del pesce nell’azienda vallicola che gestiva. Per affrontare la costosa opera, Leone decise di ricorrere a metodi spicci: non operai e mezzi meccanici, ma una potente mina da far brillare. Sarebbe stato, oltretutto, un bell’esperimento.
E poiché il Governo italiano aveva fretta di liberarsi di una ingente quantità di esplosivi che erano residuati dopo la cessazione della guerra mondiale e che stavano ormai deperendo e rischiavano di divenire inutilizzabili, Leone decise di approvvigionarsene presso l’Esercito a prezzi relativamente economici e comunque convenienti. In tal modo si sarebbe anche ottenuto lo scopo di eliminare dalla circolazione migliaia di micidiali bombe e del loro contenuto inquinante. Fu così che Leone fece scavare nella profondità della duna costiera 53 pozzetti disposti su tre file: essi furono, quindi, riempiti con 2600 bombe da mortaio, ciascuna contenente circa 50 kg di cheddite. Quasi tutte le bombe furono poi innescate con capsule di mercurio; per rendere più sicuri gli effetti della detonazione, furono aggiunti al materiale già interrato altri 16.500 kg di esplosivi diversi, per una massa esplodente complessiva di oltre 140 mila kg. I 53 pozzetti vennero collegati a congegni per l’accensione simultanea, e quando partì il comando, la duna saltò in aria come se si fosse aperta la bocca di un enorme vulcano: furono scagliati in alto circa 70.000 metri cubi di materiale, che aprirono l’atteso varco nella sabbia, in quel punto alta quasi venti metri. Anche se non tutto funzionò alla perfezione, il meccanismo produsse il risultato sperato, e bastò qualche lavoretto a mano per far sì che le acque del lago di Caprolace si collegassero col mare attraverso il taglio scavato nella sabbia e completato con opere d’ingegneria idraulica.