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11 Ottobre, 2019 - Nessun Commento

RITORNO A PONZA

 

20190913_191608Mancavo da Ponza da qualche anno, Un’assenza forzata da problemi personali. Quasi non la riconoscevo al primo impatto. Prima era sempre emozionante e delicata: quei colori pastellati delle case, quell’elegante disegno del porto che penetra fin sotto Mamozio, quell’ormai familiare lieve curva del Comune con l’orologio, quel movimento di barche, di gozzi, di fuoribordo che si postavano nell’avaro spazio di manovra della banchina nuova per fare entrare la motonave sulla quale ci eravamo mossi da Formia.

Non riconoscevo quasi più quei caratteri, tutti positivi. E anche il non vedere più Ernesto Prudente che fumava seduto all’esterno del suo Welcome’s. Era il secondo saluto che Ponza mi dava dopo l’immagine d’assieme che non mi sono mai stancato di guardare mentre la nave o l’aliscafo andavano all’ormeggio.

Tutto più tecnico: lo spazio ricavato da una sistemazione del retro banchina nuova, le molte, troppe macchine che vi trovano parcheggio, il movimento di camion, più ordinato ma tale da dare una impressione del tutto urbana e un po’ cafona di un’isola stupenda. Poi mi sono immerso in un traffico più che urbano, fatto di qualche centinaio di scooter che si affittano e che si infilano dappertutto (non me ne vogliano i locatori, per loro è vita) , col loro fastidioso rumore, per non dire con la velocità e le evoluzioni cui i conducenti si lasciano andare, presi dal piacere delle curve dello stretto abitato e della provinciale per Le Forna, che sale e scende offrendosi agli spericolati. Che qualche volta si fanno male e che sempre turbano quegli ambienti. Via Chiaia di Luna e la Panoramica sono le strade che meglio si offrono a piloti scorretti e inappropriati.

Poi arrivo alla spiaggetta di S. Antonio e trovo un’idea intelligente: in quella zona la strada si restringe e i pedoni corrono rischi. E’ stata creata una passeggiata interna al muretto di confine della spiaggia con la strada. Occupa il bordo della spiaggia, quello che era sempre pieno di erbacce ed era deposito di cose improprie. Ora è una breve e sicura passeggiata, come l’area di Giancos, resa tutta transitabile. Ci vorrebbe qualche altro albero e qualche altra panchina. Ma il mare di S. Antonio mi è parso sconvolgente. Me lo ricordavo pieno di barchette, ma ci si poteva bagnare. Oggi è una muraglia cinese fatta di cinque o sei file di barche, di fuoribordo, di natanti di ogni tipo che sbarrano la vista e l’accesso con la loro presenza e con i corpi morti che riempiono e snaturano un ambiente naturale.

20190915_194426 E poi, quanta gente. Ed era metà settembre. Non mi lamento per l’economia che portano all’isola (tra pochi giorni si chiuderanno le grandi parate di negozi affollati e multicolori di Corso Pisacane, vendite di abiti, di scarpe da mare, gelaterie, cappelli di paglia e cap con le scritte “confinati” divenute un brand creato dai giovanissimi studenti dell’Istituto comprensivo Carlo Pisacane di Le Forna. Corso Pisacane, fino ad una sera inoltrata di un inoltrato settembre era movimentato. Un piacere a pensare che il turismo porta economia. Ma dovrebbe esservi un modus. Sono un vecchio ex promoter di turismo. Pentito, a vedere lo stravolgimento di un’isola stupenda.

Non la riconosci neppure quando scendi alla fermata alla Chiesa di Le Forna, al bivio per Cala Feola. Le Forna non ha ancora perduto la pace che ha lasciato Ponza porto. Ma di silenzio ve ne è sempre di meno, grazie ad un servizio pubblico di trasporto che funziona, anche se non elimina l’eccesso di traffico per un’isola che dispone di pochi e tortuosi chjlometri di strade: parlo del servizio di minibus che ogni quindici minuti passano dalla banchina nuova a Santa Maria fino a Le Forna, e che nei giorni del mordi e fuggi si riempiono pericolosamente fino all’inverosimile. Gli autisti sono bravi, ma danno la sensazione di sfidare qualche volta la sorte, nei punti in cui la provinciale incrocia alcune zone abitate (a cominciare da Santa Maria) dove essa si dimezza a causa delle molte auto che ne occupano un lato della stretta carreggiata, anche in curva. Più che un trasferimento, allora, diventa un brivido, a guardare verso la stupenda vallecola che dall’alto si dirige strepitosa verso il mare del borgo e dei colori delle case.

A me è toccato – e ne sono grato a chi me lo ha fatto fare – anche di scendere dal punto in cui la strada per Cala Feola si interrompe di fronte alle ultime case della breve strada. Lì puoi scendere verso la solitaria (un tempo) spiaggetta di Cala Feola percorrendo una lunga scalinata di oltre duecento gradini, che seguono pedissequamente tutte le curve e tutti i livelli che la costa collinare disegna per accompagnarti fino al mare. E’ un’impresa scendere, è una doppia impresa a risalire quei gradini, specie se hai approfittato della discesa per consumare un pasto nel piccolo ristorante che si appoggia ad uno dei grandi scogli di tufo grigio che si staccano dalle pareti ripide, oggi spesso ricoperte di tante, troppe case.

Del ristorante dirò nei prossimi giorni. Quando finisce anche l’ultimo dei duecento e passa gradini ti smarrisci, perché ti troverai su uno scoglio privo di percorso, e ricco di bozzi e di piccoli ostacoli, che percorrerai però senza timori. Sotto batte l’acqua del mare di Cala Feola, che è un mare stupendo. Al di là ci sono le piscine naturali, altro piccolo miracolo, e la spiaggia che rievoca la pace delle spiaggette disadorne di tante isole dove ci si riconcilia con la natura. (Continua. 1)

26 Settembre, 2019 - 1 Commento

CADUTI NELLA II GUERRA MONDIALE DIGITALIZZATI A GAETA OLTRE 300 MILA FASCICOLI

cofIl posto è fantastico: sulle pendici orientali di Monte Orlando a Gaeta, dove un tempo operava lo Stabilimento Grafico Militare, i cui locali – adattati – occupa, è attivo il Ce.De.Cu. Centro di dematerializzazione e conservazione unico. E’ una nuova struttura del Ministero della Difesa che ha come responsabile del servizio il tenente colonnello Vincenzo Lunardo e la cui competenza consiste nella dematerializzazione e conservazione secondo le norme vigenti  delle pratiche cartacee conservate negli archivi della Difesa e dei vari uffici militari.  In altre parole, è la struttura che digitalizza tutti i fascicoli documentali su carta che i vari uffici e comandi militari hanno in deposito. In prospettiva è previsto che esso possa anche mettersi a servizio di altri Enti o Istituti di interesse pubblico, allo stesso scopo. Queste competenze permettono di ottenere un duplice risultato: di trasformare in un dato informatico tutto cià che è contenuto in un foglio di carta, e quindi assicurare la conservazione sul lungo periodo dei dati, rendendoli, attraverso un sistema di inventariazione, semplice e complesso allo stesso tempo, di immediato rinvenimento; e di riordinare tutte le carte conservate nei classici faldoni di carta, con legacci e cartoni, bonificarle, in qualche modo restaurarle e riclassificare i singoli fogli ivi contenuti, per il successivo deposito presso gli archivi del Ministero per i beni culturali (in pratica gli Archivi provinciali di Stato e l’Archivio centrale dello Stato), come patrimonio storico della Nazione.

Il ,Ce.De.Cu. di Gaeta ha presentato ai giornalisti il suo primo grande risultato: la informatizzazione di oltre 319 mila fascicoli personali dei Caduti e Dispersi nella Seconda Guerra Mondiale (si tratta di alcuni milioni di fogli cartacei). Questa massa di dati è ora raccoglibile e perfettamente leggibile, su un piccolo supporto magnetico della capacità di un paio di Tera-byte. Circa 2 chilometri e settecento metri di materiale è così  archiviato in un supporto di pochi centimetri, tascabile e agilmente consultabile.

Questo primo importante risultato è stato illustrato dal Direttore, ingegnere Francesco Grillo,  oltre che alla stampa, anche al Dirigente del Commissariato straordinario per gli Onori ai Caduti in guerra, generale Veltri, che a sua volta ha illustrato scopi e risultati dell’attività fin qui svolta, in relazione ai compiti di coltivazione del culto della memoria patria attraverso lì’Istituto per le onoranze ai Caduti e Dispersi nei vari conflitti in cui l’Italia si è trovata coinvolta negli ultimi secoli.

Gli obiettivi raggiunti sono di grande importanza, sia dal punto di vista morale, della Memoria delle vicende drammatiche vissute dal nostro Popolo; sia dal punto di vista della ricerca storica. Gli studiosi e le Famiglie dei Caduti e Dispersi potranno ora accedere ai dati quasi in tempo reale, acquisendo una perfetta leggibilità dei documenti. Questi difatti, appena sono ricevuti nei grandi scatoloni degli enti militari che chiedono la informatizzazione dei documenti in loro possesso, vengono trattati con l’eliminazione delle muffe e dei germi che si annidano nella carta. La stessa carta viene asciugata in un’apposita macchina e quindi passati ad una spolverizzatrice. I documenti cartacei, quindi, vengono restituiti perfettamente bonificati, stirati e pronti per essere scannerizzati con apparecchiature di avanguardia e capaci di “trattare” molti fogli in pochi minuiti.

L’importantissima struttura, dopo il risultato ottenuto in alcuni mesi, si appresta a fare analoga operazione per oltre 500 mila fascicoli personali di Caduti e Dispersi che parteciparono alla Prima Guerra mondiale. I programmi di sviluppo di questa attività prevedono anche la possibilità di servizi ad altri enti, secondo una pianificazione temporale e tecnica che sarà concordata in base al lavoro da svolgere.

L’area militare gode del meraviglioso panorama del Golfo di Gaeta e dell’ambiente del Parco regionale di Monte Orlando-Riviera di Ulisse.

Il Centro di Dematerializzazione e Conservazione Unico (Ce.De.C.U.) realizzato nell’ex Stabilimento Grafico Militare. Tale servizio potrà essere offerto, in prospettiva, a richiedenti esterni.

13 Agosto, 2019 - Nessun Commento

CASTELLONE E MOLA UNA FORMIA CHE NON MUORE

CISTERNONE-CIAVOLELLA-03Tra I ricordi più belli che conservo della Formia dei decenni passati, a partire dal dopoguerra, ci sono i pescatori di Gaeta che tiravano la sciabica a Vindicio e rivendevano il pescato alle poche famiglie che abitavano la piccola spiaggia occidentale; il salto che dovevamo fare da un moncone di parete all’altro dell’ex Istituto scolastico di Piazza delle Poste, che i Tedeschi avevano raso al suolo; le lunghe, inutili e socievoli passeggiate in via Vitruvio, percorsa dalle carrozzelle a cavallo che sostavano in piazza della Vittoria, e che erano ancora un necessario servizio di trasporto pubblico; e l’attraversamento del rio Santa Croce, che ci gelava i piedi, ma era trasparente come un vetro e ci si poteva fare il bagno; e l’odore della zagara alla fioritura delle decine di agrumeti che accompagnavano il tratto tra Rialto e piazza Mattej, e che oggi sono sepolti sotto anonimi anzi brutti palazzi; e il mozzicone di ponte di Rialto sopravvissuto ai bombardamenti americani: non era largo più di un metro e noi lo percorrevamo senza paura e senza esitazioni, scavalcando il torrente del Rio Alto, per raggiungere la scuola media degli Olivetani a Castellone. E’ rimasto ancora là, anche se sostituito da una gettata più a valle. Ma queste sono solo alcune delle cose che ricordo di una Formia demolita ma felice, con poche case, ma linda e ordinata, che sapeva davvero di villeggiatura estiva. Non avevamo un soldo in tasca, ma eravamo felici; c’era solo il divertimento del cinema Miramare che, d’estate, si trasferiva nella piccola arena all’aperto; c’era anche il cinema Caposele, ma era un po’ più su. Ma a noi ogni giornata passava nella spensieratezza e dopo aver studiato. Non avevamo biciclette, né smartphone (e neanche i telefoni a gettone), ma la Villa Umberto I era un’oasi da esplorare, col vicino Bar Impero. E Largo Paone andava prendendo la forma di una enorme piazza costruita con le macerie degli edifici demoliti dalle cannonate americane, sottraendo al mare un grosso tratto prospiciente Largo Paone. Sono andato a rivedermi il bel libro, pieno di nostalgia, di Renato Marchese: “Quanto eri bella Formia”, un titolo che riportato al presente suonerebbe opposto.

FORMIA TORRE DI CASTELLONE20160417_200154 (1)

Ritorno spesso a Formia, per ragioni di lavoro e per motivi personali. Ultimamente ho sbagliato per due volte ad imboccare una di quelle orribili strane asfaltate che si arrampicano con curve impensabili e pendii da montagna lungo le coste più alte della collina di Castellone. Visitando Santa Maria la Noce mi sono accorto che, a mezza collina, sta sorgendo un enorme villaggio/paese, lungo scoscendimenti impervi, e mi sono chiesto come funzioneranno le infrastrutture (acqua, fogne, strade, parcheggi) e soprattutto cosa ne sarà di Castellone, che dovrà sorbirsi un’altra cospicua razione di veicoli. Via degli Olivetani, la strada che da Rialto sale a Castellone, è già diventata una circonvallazione esterna per chi vuole evitare il tratto alto di Via Vitruvio, specie i sabati e le domeniche estive, quando un enorme e quasi immobile lumacone di auto proviene da Gaeta e dalla Flacca e immobilizza ogni attività della ormai invecchiata Via Nuova, nata non per le decine di migliaia di automezzi che la occupano in ogni momento del giorno e della notta. Mi sono anche chiesto se , continuando ad occupare la sua preziosa collina, e salendo verso il Redentore, Formia non voglia precorrere i tempi che i climatologi le assegnano: quelli di finire sotto l’acqua marina per almeno sei-sette metri, entro la fine del secolo per l’innalzamento del livello del mare. Ma mi sono anche chiesto come sopravvivano gli abitanti di quegli orrendi scatoloni di cemento piantati lungo le cose di quelle colline, soffocati da altri scatoloni, senza parcheggi, con strade che a stento tollerano un doppio senso di marcia; e che ragione hanno, ormai, i turisti per venire a Formia, una Formia affastellata, imbruttita, senza uno scatto di genio edilizio o di gusto del vivere in comune, circondata da un porto commerciale, da uno o forse due porti turistici pià quello proprio; aggredita dall’interrimento di Arzano. Anche Gaeta contribuisce a imbruttire il Golfo.

 

SAN ROCCOA Formia, ormai, non restano che due spazi degni di essere vissuti: via Abate Tosti che sta pian piano riconquistando una antica dignità abitativa ed anche di vita, ma basandosi su vecchie e ancor valide case; e un quartiere intero che è quello ottocentesco di Castellone, con provenienze romane e isolati edifici quattro-cinquecenteschi, qualche chiesetta, e una dignità di vita che gli altri Formiani possono solo sognare.

E allora mi immagino che al Comune – dove pure si sono progettati quartieri dal nome di Scacciagalline (non proprio il massimo) – si stiano dando da fare per rendere il Castellone un esempio di quartiere vivibile anche se la maggior parte delle case è stata costruita nel secondo Ottocento, come dicono orgogliosamente le chiavi di volta che reggono le arcate di accesso alle case. Immagino che il Comune stia dando un premio a chi vi abita perché continui a restaurare quelle decorose e romantiche case o bassi; che stia provvedendo a vietare l’accesso a tutto le auto, scegliendo una sola strada per i rifornimenti e solo per essi, e non per uso parcheggio. Penso che tecnici ed amministratori stiano pensando belle soluzioni per valorizzare i piccoli e grandi tesori di arte antica che impreziosiscono il quartiere (il Cisternone meraviglioso, la residua torre Gaetani, il Castello-anfiteatro romano, la cattedrale di S, Erasmo, le chiesette di S. Anna e di S. Rocco e soprattutto la serie di vicoli che si intrecciano in una fantasia costruttiva che tocca vertici di straordinaria bellezza e suggestione); e stia dando una mano ai pochi ma qualitativi esercizi commerciali che animano il borgo, la macelleria, il forno, il ristoratore, la pizzeria, l’enoteca. Ma è proprio vero quello che sto immaginando oppure è un sogno che farei meglio ad abbandonare?

 

 

 

 

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