9 Dicembre, 2015 - Nessun Commento

LATINA I PINI DI VIALE ITALIA
UNA RIVOLUZIONE CONSERVATRICE

viale-Italia-ora-è-così-635x476albero-viale-Italia-635x476Latina sta affrontando uno dei momenti di “rivoluzione visiva” che sarà fondamentale e la segnerà per i prossimi dieci-venti anni. E” stato deciso di abbattere – un poco alla volta, per grandi settori – gli svettanti pini che costituiscono uno degli aspetti più tipici della “città di fondazione”. Grandi viali di pini, ormai altissimi, accompagnano alcuni dei suoi punti più significativi: il Viale Italia che porta dallo edificio futurista di Angiolo Mazzoni alla grande piazza del Quadrato (e non Quadrata come qualcuno, sbagliando, scrive); il viale Mazzini, dalla mitica piazza Dante lungo il percorso degli Istituti secondari fino al Tribunale; e presto dovrà decidersi ad affrontare quell’ enorme problema di pericolo pubblico che è via Epitaffio. I pini in questi poco meno che cento anni di vita della Città sono cresciuti secondo natura, raggiungendo e superando i 20 metri di altezza. Ma sono stati sempre gestiti tanto male che occorre provvedere ad eliminarli prima che facciano qualche vittima cadendo, come già è accaduto. Sono stati trascurati, mal potati, peggio mantenuti nelle aiuole, soffocati a volte da lastricati inevitabilmente sbaraccati in pochi anni dalla potenza delle loro radici superficiali. Si sono incurvati, piegati, adagiati, crollati sotto il loro stesso peso. Alcuni sono caduti in zone frequentata (pensate alla folla di studenti di viale Mazzini) e non hanno ammazzato nessuno perché negli incidenti ci può scappare anche la fortuna. Ma sul desktop di questo PC vi è una voto di viale Mazzini con quegli stupendi e rischiosissimi pini: un’ immagine alla quale difficilmente si riesce a rinunciare, ma che sarebbe criminale continuare a ignorare.

Bene: ora si sta cominciando da viale Italia, che è tra i più significativi, e qui sta avvenendo una rivoluzione visiva che ha lasciato perplessi molti cittadini ed ha innescato una polemica che, francamente, non sta in piedi. Nel giro di qualche giorno siamo passati da una visione di verde elegante e verticale, ad una immagine tipica di una area devastata dalla guerra: chiome sparite, tronchi abbattuti, scheletri di alberi che lanciano verso il cielo il loro ultimo grido prima di cadere sotto la motosega. Immagine davvero apocalittica in una città “nuova” (ma rifiutata dagli amministratori, disconosciuta e violentata in nome del cemento più incolto e selvaggio). Una immagine simile a quella di “questo” viale Italia l’ avevamo già registrata qualche anno fa, quando il Punteruolo rosso aveva fatto seccare le palme di piazza della Libertà, oggi deserta e assolata, e privata di quell’ ornamento indispensabile che è il verde urbano. Ma nessuno ha pianto, e nessuno ha detto nulla.

Per viale Italia si tratta di capire come esso dovrà essere di qui a cento anni: ancora con pini ripiantati (e ci si augura meglio gestiti), oppure con i lecci, che sono pianta autoctona, ma impiega decenni per cominciare a mostrare la propria possanza; e che esige comunque manutenzione; e che sporca nei mesi di produzione delle ghiande… Si è scelto di ricostruire il viale Italia che conoscono le generazioni di Latinensi che vanno dagli anni Trenta a quelli che stiamo vivendo. E qui si è scatenata una inutile e francamente oziosa polemica. Questo è un blog, che ospita le idee di chi scrive questo articolo, ma anche di chi volesse dire le proprie. Le mie sono queste: si sta facendo bene. La città non subirà alterazioni rispetto al suo “rendering” originario, alla sua “cultura” del verde urbano di fondazione (non dimenticate quello che è stato fatto a piazza del Popolo con le aiuole di mirto distrutte al momento del ricambio). Insomma, a noi sta bene così: i pini ci mettono poco a crescere, e tra dieci-venti anni il viale sarà quello che oggi si sta abbattendo. Poi il problema passerà alle generazioni che vivranno in città tra cento anni. Come è giusto che sia.

Chi polemizza lo fa soprattutto in nome dello scempio che oggi appare: i vuoti, la mancanza di alberi, lo squallore. Sì, certo, non fa piacere a nessuno: ma provate a pensare un attimo. Una città è un organismo che vive, e che si muove e che cambia. Quando i cambiamenti sono fondamentali occorre farsi forza e viverli come necessari momenti di transizione nel cammino evolutivo di una città. Una città non si misura sull’ arco dei mesi, ma dei decenni. Pensate a quello che è accaduto in “quartieri di espansione” orrendi aggregati-alveari fatti di case e basta, Avete sentito una protesta… Quando cambiate lo abituale taglio dei vostri capelli i vostri amici se ne accorgono e lo sottolineano. Due giorni dopo è finito tutto, perché la vita dell uomo scorre veloce. La vita di una città ha ritmi più lenti e lontani. Qui i due giorni sono almeno venti anni. Non vi lamentate se viale Italia resterà senza ombra degli alberi per qualche decennio. Se lo godranno le nuove generazioni e lo godranno a lungo, come ce lo siamo goduti noi prima che il ciclo vitale dei pini si compisse. Ma Latina resterà quella che era quando fu disegnata alle sue origini (e sempre che a qualche cappellaio matto non scappi qualche idea balorda). In fondo, si sta compiendo una “rivoluzione conservatrice”. Un ossimoro per tenerci la nostra Città. E forza a tagliare anche altrove!

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4 Dicembre, 2015 - 1 Commento

FORMIA/CASTELLONE
ELOGIO DI UN BORGO

IMG-20151203-WA0015Formia è tradizionalmente divisa in due antichi quartieri, o borghi, che hanno lungamente avuto, per secoli, netta separazione amministrativa. Immediatamente prima del 1861 si riunirono nel ritrovato nome classico di Formia (Formiae) di cui sono tuttora specchio ed anima duplice. L’ uno marino (Mola), l’ altro collinare (Castellone), ma con affaccio sul lido di Bbasciammare. Dopo avervi lungamente vissuto, ho lasciato Formia per lavoro, mai abbandonandola del tutto, perché vi conservo antichi amici e interessi legati ai miei studi e alla mia professione.

Questa estate sono tornato a Castellone, per riscoprirne gli antichi sapori e l’ ho trovato un delizioso quartiere “di paese”, emancipato da una riorganizzazione che, se da una parte gli ha tolto alcuni connotati di antichità, dall’ altra gli ha conferito un decoro straordinario, una organizzazione civile che è raro trovare altrove, colori, motivi, disegni, stradine, case, riscoperta di mura poligonali e del cisternone romano, una autentica cattedrale sotto il suolo edificato, secondo la tecnica straordinariamente funzionale e ispirata alla monumentalità dei Romani, quelli “buoni”. E mi è piaciuto rivisitarlo da turista, guardandolo di sera, osservandone il tessuto viario e, soprattutto, cercando di coglierne l atmosfera. Ed ecco quanto mi è venuto di osservare.

Calda sera di un inatteso novembre di mare, di tepore, di cuori liberi. Nessun programma preciso, ma l’ idea di far trascorrere qualche ora – o qualche mezza ora – senza impegni di cliché (il cinema, il bar, un incontro con amici) alla ricerca di cose che non conosciamo, che forse immaginiamo ma non ci azzardiamo a dare per scontate. E così, sono iniziati i classici due passi lungo le viuzze del quartiere medievale-ottocentesco. Anche quell’ andarsene senza meta per vicoli sconosciuti contribuisce a creare una atmosfera alla quale non siamo più abituati, forse, per via dell età, forse per il timore di essere sbirciati da qualche curioso. Ma forse neppure questo è vero.

IMG-20151203-WA0014IMG-20151203-WA0013La verità è che ci si trova bene a perdere tempo da soli, un poco pensando e un poco perdendo tempo, di sera, nelle viuzze di un quartiere medievale-ottocentesco. Accompagna i passi, oltre al tepore della serata che declina verso la notte, un inatteso silenzio che circonda le case pure già affollate, ma dalle quali non esce un grido, né lo stridore di una canzone strillata alla radio, neppure un innocente rimprovero a voce alta, di quelli che si fanno in ogni famiglia che si raccoglie per la notte. I primi passi muovono nei vicoli badando di non fare rumore. Non lo chiede nessuno, sento di doverlo al quartiere. La luce illumina le stradine tortuose e linde che segnano le curve di livello della collina sulla quale sorge il quartiere. È una luce bastante a dare piena l’ immagine degli scorci, dei percorsi, dei piccoli archi gettati da casa a casa a sostegno reciproco, dei palazzotti antichi, accompagnati dalle ombre create dalle lampadine, efficienti ma non cafone, né lampadari falso Ottocento, né lampioni finto-gas. Sole e semplici lampade nate per fare il loro mestiere. E lo fanno bene. Accompagnano con la loro cauta, raffinata e non ingombrante luminosità, la luminosità davvero insolita di strade pulite, sempre pulite, arredate con piante sempreverdi, sempre amorevolmente accudite, con le quali i casigliani fanno omaggio al loro risiedere insieme in quell’ antico borgo e contribuiscono a darne una immagine di vivacità mai impolverata dal tempo. Ai palazzi si susseguono rari negozi anche essi antichi più che vecchi, la pubblicità della mozzarella di bufala scritta a mano, e pochi esercizi pubblici moderni – un bistrot, una trattoria, una pizzeria – o il monumento romano del cisternone che sostiene con la sua volta poderosa e sotterranea la piazzetta Sant’ Anna.

Sono quei passi silenziosi che fanno vedere tutto dolce, tutto sereno, tutto ordinato, o è l’ anima del quartiere che emerge nel IMG-20151203-WA0016silenzio della notte e ci accompagna… Imbocco stradina dietro stradina, scalinatella dietro scalinatella, arco dietro arco, senza sapere dove finirà quella piccola strada, magari in un fondaco chiuso, che ci invita a tornare sui nostri passi. Ed è bello tornare sui nostri passi, allungare il percorso, aiutandoci così a far trascorrere il tempo che manca al rientro. Un seguito di colori rosati, celesti, crema, bianchi, di scale, di discese e di salitelle, di finestrelle illuminate dalle quali non si affaccia nessuno perché la riservatezza è la dote principale del borgo. Non interessa, non deve interessare chi cammini a quell’ ora e perché, e ci si sente davvero liberi, per cogliere quella sensazione di serena gioia, di vibrazioni che ci accompagnano. Nessuna parola – a che servono le parole, quando il silenzio trionfa – qualche foto rubata qua e là, basta questo scenario sul quale si apre, improvviso uno slargo, quasi una terrazza che si spinge tra due alti palazzi invecchiati dal tempo e dalla lontana guerra, aprendo uno squarcio di libertà verso il mare di Scauri e del Garigliano. Qua sotto sta Formia, una parte di Formia, quella che si allinea lungo via Filippo Rubino, e che scende verso piazza Santa Teresa. Ma è già un altra Formia. A me interessa quella del buon odore che aleggia ancora nell’ aria da un piccolo forno che produce tielle e focacce e casatielli e biscotti farciti di mandorle o di marmellata; e quella delle case del borgo, che continuano a sfilare consentendo di coglierne, insieme alle antiche date scolpite sulla chiave di volta del portoncino, la delicatezza cromatica – pastello, acquerello, chissà – le geometrie segnate dalle bianche lesene aggettanti dalle facciate o scolpite sugli angoli che salgono impervi verso il cielo stellato.

“Gliu Palazzo” ha un colore celeste pervinca, e una orgogliosa targa in ceramica con sopra quella scritta, a segnalarne la differenza nobile – nobiltà di denaro prima che di sangue, forse spagnolo – che la porta a distinguersi dalle altre, sollevata da una erta e stretta scalinata di pochi gradini, che individua il suo sollevarsi dal comune basamento. Sono momenti di una grandissima pace, di uno sprigionarsi di amore che non ha bisogno per manifestarsi di altro che continuare a muoversi delicatamente e a camminare, mentre la notte e il suo silenzio calano sui passi che ora cercano di affrettare il rientro e rendere definitiva quella straordinaria confidenza notturna col borgo.

 

18 Ottobre, 2015 - Nessun Commento

LATINA CHE PENSA
SCENDE IN PIAZZA
E CHIEDE LEGALITA’

Per questa foto ringrazio Gabriele Tamborelli

Per questa foto ringrazio Gabriele Tamborrelli

Latina chiede legalità. La città sta crescendo in maniera disordinata, disorganica, senza una linea progettuale, e nel suo corpo sociale si aprono smagliature profonde, nelle quali si introducono fenomeni anomali e a volte vera e propria criminalità. Nei giorni scorsi la Magistratura, dopo le indagini delle Questura, ha ordinato l’ arresto di 24 persone, implicate a vario titolo in un giro economico complesso, importante  a volte misterioso, fatto di accumulo di ricchezze cui non corrispondono le denunce dei redditi, di prestanome, di minacce velate o palesi, di evasione fiscale, di monopolizzazione di settori economici e commerciali, di personaggi cresciuti nel ventre di questa città che, pur conoscendone esattamente connotati e nomi, nulla ha saputo fare in trenta-quaranta anni per difendersene, lasciando, anzi, loro tutti gli spazi che volevano conquistarsi.

Tra i volani di questo fenomeno c è sicuramente la “cattiva urbanistica”, l’ uso spregiudicato e spericolato della professione di costruttore, divenuta mestiere di imbroglio, di sotterfugio, di piccola e grande corruttela, di distruzione del territorio, di sopraffazione della società “normale”, di spericolate operazioni dalle quali il Comune di Latina esce con vergogna, avendo dimostrato di non saper dirigere, di non saper inventariare, di non sapere esercitare alcun controllo, quando di non saper resistere alle tentazioni. Naturalmente un “Comune” è fatto da persone, e non tutte le persone che “fanno” un Comune sono responsabili. La vera responsabile è la Cattiva Politica che non sempre sa scegliere i propri collaboratori tra gli onesti, che si lascia coinvolgere in manovre che la svergognano (ma di cui non si vergogna), che manda avanti esponenti che andrebbero messi in soffitta o gettati nella spazzatura, proteggendo personaggi oscuri,dai quali ottiene vantaggi economici, divenendone schiava.

E in questo marasma nel quale i furbi vanno avanti e gli onesti subiscono, si infilano anche minacce, a volte velate, a volte palesi, di cui resta vittima chi vuole ribellarsi o chi cerca di denunciare questi autentici scandali. Anche i giornalisti, come è accaduto questa volta, quando.  Un tempo erano le querele l’ arma usata per spaventare la libera stampa, accompagnate da miliardarie richieste di risarcimento danni. Chi sta scrivendo – che ormai scrive per diporto, essendosi ritirato per motivi di età – ha ricevuto nel corso dei molti anni di attività giornalistica sette querele per diffamazione, da fior di mascalzoni e da fior di apparenti galantuomini che tali non erano. Soprattutto nel campo dell’ abusivismo edilizio e del danneggiamento di beni ambientali e culturali. Non ha riportato alcuna condanna. Ma ha dovuto subire lo stress di sette processi, qualcuno dei quali durato anni. Ed ha, ovviamente, pagato spesso di tasca sua la propria difesa. Il sottoscritto deve dare atto al quotidiano  “Il Messaggero”, che ha servito per 50 anni, di averlo sempre tutelato con collegi di avvocati che costituivano il fior fiore del foro romano. Molti altri colleghi, specie di provincia, non hanno avuto la stessa fortuna.

Oggi dalle querele si è passati alle minacce palesi. Latina ha voluto ribellarsi a questo andazzo che consegna la città in mano agli avventurieri, agli evasori, ai violatori delle leggi, ai corruttori. E’ scesa in piazza e ha protestato. Sabato 17 ottobre non eravamo centomila a protestare e a chiedere legalità: eravamo un migliaio, forse duemila: ma le cifre in una società sonnacchiosa e capace solo di perdere posizioni nell’ economia e nella vera imprenditoria, e di lasciarsi pervadere dalla criminalità con la pistola e da quella con le righe stirate ai calzoni,  contano poco. Conta che la èlite della Città ci fosse tutta, e si sia ribellata alzando la voce. A gridare erano tutti, quelli che un giorno si sarebbero chiamati borghesi e quelli che si sarebbero chiamati proletari. Mancavano molti “personaggi” : peggio per loro. Hanno perso il diritto di continuare ad essere “personaggi” per diventare marionette. Speriamo che la voce di chi c’ era sia stata ascoltata anche dai pelandroni, dai pigri, che “tanto ci pensano gli altri”, ed abbia un moto di orgoglio per rialzare la testa e rifiutare il ruolo, che si sta conquistando con la sua pigrizia e noncuranza, di piccola capitale morale della criminalità e dell’ abuso. Ce lo auguriamo per i nostri nipoti, prima che sia tardi.

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