21 Gennaio, 2020 - Nessun Commento

SCHERZA COI FANTI DI GIANFRANCO PANNONE E AMBROGIO SPARAGNA

SCHERZAùAlla Fine della visione avevo lo stomaco ristretto, quasi gridava la sua tristezza. Ma poi la mente ha riavvolto tutta la pellicola messa su da Gianfranco Pannone, regista, e da Ambrogio Sparagna, etnomusicologo e musicista, e nel film consulente musicale. Sparagna è l’uomo che sta recuperando una tradizione fatta di parole e di suoni provenienti dal ventre della povera gente di campagna e di collina, e che sta riproponendo con spirito nuovo ad una platea che s’è fatta da tempo assai più ampia di quel Lazio meridionale dal quale era partito alcuni anni fa. Ora il suo organetto berbero (ma era costruito dai maestri analfabeti, pieni di genio e di fantasia sonora) e la sua cornamusa fatta di otri della pelle di bestiame macellato dietro l’uscio della casa isolata nella campagna aurunca e ciociara o della collina ausona, sono diventati noti anche a un pubblico più raffinato, senza perdere gli antichi odori da cui provengono.

Pannone e Sparagna hanno unito professionalità, amore per le cose vecchie (ma mica tanto) e per la vecchia gente di campagna, hanno raccolto pezzi di documentari originali dell’Istituto Luce (oggi Luce Cinecittà, che distribuisce il film), e antichi testi e antichi motivi popolari messi su in tempi di dolori e di paure, ed hanno costruito un grande documentario filmico, una grande storia che si chiama “Scherza coi fanti” . E’ la storia di retrovia, ma tragica, della povera gente che patisce dal 1860 guerre che le hanno portato in casa o che ha dovuto subire da attori, senza sapere nulla di guerre. Lo sapevano, però, gli uomini che quelle guerre hanno voluto e inventato, e che la Povera Gente vede passare sgomenta dentro le loro povere case, attori protagonisti di una vicenda che non conoscono e che sembra non riguardarli, ma che debbono patire. La strage di Pontelandolfo, in provincia di Benevento, quando le truppe del nuovo Stato unitario italiano entrano e puniscono gli abitanti in una mattanza che non risparmia vite e case. “Scherza coi fanti” è una storia di guerre “collaterali” vissute dietro le quinte della grande Storia, a cominciare dalla “guerra per l’Impero”, con le bombe che i nostri aerei sganciavano cariche di gas mortali sui miserabili villaggi dell’Etiopia e della Somalia; per proseguire con le Grandi Guerre: la Prima, la Seconda, con la lotta in montagna dei partigiani, le bombe sulla testa degli abitanti di San Lorenzo a Roma (Io, piccolissimo testimone di quei giorni del 1943 e 1944, per dire di una cosa spaventosa, orrenda, dicevo “San Lorenzo”, dove erano morti migliaia di Romani colpiti dalle bombe americane nel luglio 1943, in una Capitale che doveva restare fuori dalle bombe). E poi le battaglie nell’Africa settentrionale, dove i Nostri stavano dietro ai reparti di Rommel e di Montgomery, primi attori, ma morivano peggio degli attori principali, vestiti di stracci e armati dei “carri armati di Upim”, come li chiamavano. E facevano della “gloriosa resistenza” di El Alamein, finita in un massacro, una “gloriosa avventura”. E il racconto di quella ragazza sedicenne che venne stuprata dai marocchini, ma riuscì a vivere non dimenticando, mentre i partigiani venivano lasciati appesi ai pali della luce perché i “traditori” non dimenticassero. E la scena surreale di un Piazzale Loreto ormai inesistente, perché divorato dalla città anonima dello smog, dei Tir, dei grandi palazzi, della ignoranza di ciò che vi era avvenuto: il massacro di numerosi partigiani e la vendicativa esposizione dei cadaveri di Benito e Claretta e di alcuni gerarchi del fascio appesi per i piedi ai ferri di una pompa di benzina, e il feroce ludibrio di tanti milanesi che ne avevano prima calpestato i cadaveri e orinato su di essi, dopo aver gridato il loro “Si” alla dichiarazione di guerra al mondo che Mussolini aveva fatto solo quattro anni prima, in una piazza Venezia romana rigurgitante di gente che voleva la guerra, e applaudiva il duce (ma poi si dava da fare per non essere richiamata alle armi per combattere quella guerra, per non indossare la divisa, o per guadagnarsi un tozzo di raro pane o di olio alla borsanera nostrana). Sullo sfondo di questi fatti umani, le canzoni che la povera gente si era inventata per fare degli episodi che viveva una storia che portasse anche il suo nome. Nome di reietti, di poveracci, di derelitti, di mortiammazzati. Lo stomaco mi si è ristretto davanti a questo racconto, bello nella brutalità delle immagini d’epoca, un po’ sfocate, un po’ arruffate, che avevano per protagonisti sempre loro, la Povera Gente. E le canzoni che si era inventata per far vedere che c’era anche essa in quella Storia di cose brutte e di cui non sapeva nulla. E forse non ha saputo neppure dopo.

 

 

14 Gennaio, 2020 - Nessun Commento

RIFIUTI: MOLTI CITTADINI DI LATINA RINUNCIANO ALLA LORO DIGNITA’

rifiutiSe dobbiamo essere seri, noi cittadini di Latina (ormai una città che si avvia verso i 150 mila abitanti) dobbiamo fare un po’ di esame di coscienza. E’ vero che Abc, almeno nella parte che gestisce il ritiro dei rifiuti e la pulizia della città, è ancora in fase di lungo rodaggio. Inutile fare esempi: basta guardare in strada e nei giardini o parcheggi, dove l’accumulo di rami e foglie e pattume ha ormai consolidato strati geologici.

Ma dato atto di questo, proviamo a guardare dentro il nostro “spirito di cittadinanza”. Ci comportiamo, mediamente, come bravi e rispettosi cittadini, ossia siamo dotati di un livello medio o medio-alto di civiltà nel fare la nostra parte di sversatori di rifiuti? Dico la mia: NO, non siamo cives, ossia non siamo gente civile. Al contrario, ci comportiamo come tanti porcelli in libera uscita. Negli ultimi sei mesi, dalle case di Latina sono usciti divani, letti matrimoniali e singoli, lerci materassi che dai marciapiedi raccontano a tutti lo stato di igiene di certe famiglie, sedie da ufficio scassate, mobili smontati e affastellati sui marciapiedi insieme agli specchi che li ornavano, e bidé, tazze da cesso, qualche vasca da bagno, caldaie del gas. Intere camere con tutti gli arredi. Sarebbe bastato chiedere l’intervento di Abc, e di evitare lo sconcio sporco e schifoso di una città che sta rinunciando alla propria dignità. Mentre scrivo queste cose sono fortemente dispiaciuto. Ma meglio essere dispiaciuti che rinunciare a fare questa denuncia.

24 Dicembre, 2019 - Nessun Commento

VENTO E MARE DISTRUGGONO
ISTITUIRE UNA COMMISSIONE

mareggiataUna nuova tempesta di vento e di pioggia si è abbattuta sulla pianura Pontina a conferma che le variazioni climatiche non sono più un fenomeno casuale, ma configurano l’instaurarsi di un nuovo microclima. Nel corso di questa prima parte dell’inverno, tra tempeste di vento e connessi fenomeni, ad iniziare dalle violente mareggiate, si sono verificati fenomeni di danno ormai stabile. A farne le spese sono state in primo luogo le coste del Tirreno pontino, che sono state letteralmente devastate dai marosi che hanno asportato milioni di metri cubi di sabbia dalla duna. Si calcola che oltre la metà dello spessore della duna quale si registrava una trentina di anni fa, sia stata “erosa” e dispersa nel mare, modificando anche il regime locale dei flussi di onda con ulteriori danni. A contribuire a far danni proseguono in una sovrana e irresponsabile indifferenza le azioni dell’uomo, e in particolare di quella categoria di uomini che dovrebbero essere i garanti del buon decidere, ossia gli amministratori. La costruzione del porto di Rio Martino ne è una dimostrazione; il getto di “pennelli” perpendicolari alla linea di costa ne è la conferma. Fino a prova contraria, la Regione Lazio dovrebbe ancora avere come proprio codice di comportamento sul mare lo “Studio Generale sul Regime delle Spiagge Laziali e delle Isole Pontine”, che risale al 1985 e che non risulta sia mai stato sostituito. E, allora, perché la Regione continua a finanziare o autorizzare opere costiere senza tenerne conto? Non dovrebbe intervenire la Corte dei Conti a chiedere il danno erariale nei casi accertati? Nei giorni prenatalizi i marosi hanno scavato in profondità e guadagnato metri di costa. In prossimità della foce del fiume Sisto, presso Terracina, si è calcolato che il mare sia avanzato di un’altra ventina di metri. Ci sono segnali precisi, dati dalla scopertura dei pennelli costruiti negli anni Novanta. Negli stessi giorni, le strade alberate che tagliano la Pianura Pontina sono state spazzate dal vento e centinaia di alberi sono stati abbattuti anche su tratti ad alta percorrenza, come la strada statale Appia, da Latina a Terracina. Decine di pini sono caduti sulla carreggiata stradale, mettendo a rischio l’incolumità delle migliaia di autovetture e camion che la percorrono giornalmente. Le chiusure sono state ripetutamente applicate. Ma non si è ancora capito che l’alberatura a pini ha ormai concluso il suo ciclo vitale e che il paesaggio stradale deve ormai cambiare, sostituendo quell’albero con specie più robuste e giovani, anche se meno spettacolari. I lecci, ad esempio, e altre specie quercine. Ne va della sicurezza della vita di chi usa l’auto e di chi abita accanto alla strada. Lo stesso può dirsi delle “migliare” e delle stesse città. Terracina nel 2018 subì un devastante ciclone che abbatté centinaia di piante e costò danni e anche una vittima. Si vuole continuare così? Latina ha compreso il problema e piano piano si sta organizzando sostituendo gli ormai vecchi pini, giunti al loro fine ciclo vitale. Ma il governo regionale quando pensa di insediare una commissione di scienziati e di botanici per studiare compiutamente la situazione? E quando ci si deciderà prendere sul serio Greta Thumberg, che continua ad essere sbeffeggiata mentre il mondo ci si sta modificando sotto i piedi?

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