1 Febbraio, 2021 - Nessun Commento

LA SCOMPARSA DEL GIORNALISTA GIANFRANCO COMPAGNO

gianfrancoGianfranco Compagno, giornalista, ci ha lasciati. Ha fatto uno scoop che nessuno di noi si sarebbe augurato. Ci ha lasciati il Primo giorno di febbraio di questo anno. Gianfranco Compagno aveva un cognome che era il suo omen. Sapeva essere amico, sincero e generoso. Ma sapeva essere un vero giornalista: aveva fondato quel “Giornale del Lazio” che era stata una scommessa, ma una scommessa vincente, perché a distanza di anni, quella sua creatura ancora viveva di vita felice e puntuale. Lo aveva modificato più di una volta per adattarlo alle esigenze della sua crescita. Era ormai l’unico periodico che arrivava inesorabile ad una ricca mailing list di lettori, che lo leggevano sempre con curiosità e con interesse. Era lo specchio fedele di Aprilia, la città dalla quale scriveva, stampava e spediva. Non c’era angolo della Città di cui Il Giornale del Lazio non si interessasse e non registrasse fatti e problemi con attenzione, sensibilità, spirito giornalistico, amore per il “mestiere”, voglia di stimolare e voglia di annotare per la storia. Non c’era aspetto che sfuggisse alla sua acuta curiosità di giornalista e di cittadino; e non c’era attività che non seguisse con attenzione e con un rigore neutrale che faceva invidia a molti di noi che ci lasciamo a volte sopraffare dai nostri entusiasmi e dai nostri punti di vista. Con grande intelligenza aveva capito da tempo che il suo Giornale doveva rispettare ciò che la testata diceva: non giornale di paese, ma aperto ad un ambiente più ampio: Latina, ad esempio, e la collina, e la vicina e quasi gemella Pomezia e la bassa area metropolitana romana. Non c’era avvenimento che Gianfranco non cogliesse per farne oggetto di conoscenza, di esame, di lancio. Quando fui eletto Presidente della Fondazione Roffredo Caetani di Sermoneta, me lo trovai accanto: era sempre il primo ad essere invitato e il primo ad essere presente. Penna, blocco notes e smart col treppiede per riprendere ogni avvenimento, registrarlo dal vivo e così come si era svolto, in modo che nessuno potesse contraddirlo. Amava Ninfa e vi veniva volentieri con la sua gentile Signora, sua amata collaboratrice. Nessuno avrebbe detto che Gianfranco era uno che aveva pagato anni addietro un contributo alla dialisi prima di subire un trapianto di reni. Non si era fatto domare da un male pure gravissimo, e non aveva mai ceduto alle esigenze del male per dover rinunciare ad una cronaca. Ha dovuto pagare lo scotto della pandemìa. E’ morto di Covid. Questo orrendo mascalzone lo ha aggredito e il suo organismo si è dovuto piegare. E’ morto facendoci piangere di dolore per la simpatia e l’affetto che aveva sempre suscitato.

Mi aveva chiesto un commento pochi giorni fa ad un suo documentatissimo articolo sulla ormai scomparsa Casa del fascio di Aprilia. Non ho fatto a tempo a mandarglielo. Avevo molto rispetto per la sua professionalità e non volevo mandargli una cosa raffazzonata che il mestiere ti insegna a raffazzonare. Mi stavo documentando e mi ero procurato anche fotografie che gli avrei mandato. Scusami Gianfranco se sono arrivato dopo il Covid. Ti abbraccio da lontano e ti ringrazio per l’Amicizia disinteressata che mi hai regalato. Riposa in pace.

 

21 Gennaio, 2021 - 1 Commento

UNA STRAGE SCONOSCIUTA
NEL 1944 A PRATO CESARINO
CISTERNA

prato cesarinoVenerdì 22 gennaio 2021 ricorre il 77° anniversario dello sbarco anglo-americano sulle coste tra Anzio – Nettuno e Torre Astura, che portarono nell’area settentrionale della provincia di Littoria (come allora si chiamava) la guerra CHE SI COMBATTEVA PER LIBERARE Roma dalla presenza tedesca. Gli Alleati avevano aperto il fronte nel Lazio settentrionale con una spettacolare azione dal mare che impegnò migliaia di navi, di carri armati, di mezzi di trasporto, di cannoni semoventi e circa trentamila uomini. Fu una notte fortunata per chi attuò lo sbarco, perché nella zona si trovavano solo pochi reparti tedeschi che stavano godendo (per così dire) un breve periodo di riposo dopo aver combattuto sul fronte della Gustav, in particolare a Cassino. Le operazioni procedettero nella sorpresa generale, dopo un violento bombardamento dal mare, che servì solo a svegliare i pochi militari che dormivano. Nel giro di 48 ore la testa di ponte alleata si formò e si consolidò in maniera tale da resistere nei giorni e nelle settimane successive ai tentativi tedeschi di rigettarle in mare. L’area inizialmente investita interessava oltre ad Anzio e Nettuno (all’epoca Nettunia), anche la giovanissima Aprilia, Cisterna, Littoria, e i borghi delle città: Prato Cesarino, Borgo Flora (Cisterna), Borgo Podgora, Borgo Sabotino, Borgo Montello, Foceverde (Littoria). Cade contemporaneamente in queste date il ricordo di un avvenimento tragico che fu la prima strage di massa in terra pontina. Avvenne il 24 gennaio 1944, vale a dire due giorni dopo lo sbarco, e stavolta a procurarlo non furono i tedeschi, ma gli americani. E’ un episodio che è rimasto stranamente sempre circoscritto in un ambito ristretto di conoscenza, malgrado l’entità dello stesso evento. A ricordarlo è stato un libro di Antonio Caselli, “Ricordi di un pioniere”, èdito in proprio e sfuggito ai più. A portarlo alla ribalta però è stato uno scrittore del Comune di Cisterna, che già aveva dedicato la propria attenzione a fatti avvenuti nella sua terra. Parlo di Mauro Nasi, che ha raccontato in un libro la storia di Buffalo Bill e la sfida in rodeo a Remo Imperiali, in una singolar tenzone tra cow boys del Circo di Bill Cody alias Buffalo Bill in visita con un vero e proprio circo che rievocava le vicende dio vita vissuta con i Pellerossa. Imperiali vinse la sfida e divenne il più celebre tra i “butteri” della Palude Pontina negli anni Venti e successivi del secolo scorso. Mauro Nasi mi parlò poco tempo fa della “strage di Prato Cesarino” di cui non sapevo assolutamente nulla. Lo pregai di dirmene e cortesemente mi ha mandato il suo racconto, documentato, che ora pubblico di seguito.
(nella foto Egidio Salaro davanti alla lapide che ricorda anche i 13 civili uccisi il 24 gennaio 1944)
LA STRAGE DI PRATO CESARINO (campagna di Cisterna, 24 gennaio 1944)
di Mauro Nasi
Tredici morti e 6 feriti. Una vera strage compiuta da soldati americani e dimenticata da tutti. O quasi. La ricorda bene chi ha visto consumarsi quella terribile carneficina e soprattutto Egidio Salaro, miracolosamente scampato insieme al cugino Fiore. A far riemergere questo semisconosciuta eccidio di guerra, certamente tra le prime – se non la prima – dovuta a soldati americani da poco sbarcati ad Anzio e Nettuno, è stato Antonio Caselli, nel libro “I ricordi di un pioniere”. Quel terribile 24 gennaio le truppe
americane avevano minato i ponti alla confluenza tra il Canale Mussolini e l’Astura e con i loro carri armati si erano attestati su via Macchia Pantano, in località Prato Cesarino a Cisterna: era il loro fronte avanzato contro le truppe tedesche. Molti dei coloni, giunti dal Nord Italia, cercarono riparo e conforto umano riunendo più famiglie all’interno di uno stesso podere. Così fecero i genitori di Egidio Salaro. «Nella casa di zio Francesco – ricorda Egidio, all’epoca dei fatti 12enne – si rifugiarono quattro famiglie : i Salaro, la famiglia Furlan fuggita da Nettuno, la famiglia di Sante Astolfi e quella di mio zio Luigi. Verso le 14,30 del 24 gennaio lìequipaggio di un carro armato americano che si trovava in campagna, tra le case di Sperindio e di Giacomo Salaro, notò un notevole movimento di persone all’interno del nostro podere. Dalle finestre vedemmo improvvisamente il carro girarsi e cominciare a sparare contro di noi. Probabilmente i soldati avevano pensato che la nostra casa fosse un piccolo fortino affollato di tedeschi. A rendere plausibile quel pensiero concorse la circostanza che nel cortile era stata abbandonata anche un autoblindo lasciata dai  tedeschi che si erano ritirati all’interno del territorio. Il carro esplose quattro colpi contro il nostro podere. Raggiunsero il piano superiore e tutti noi fuggimmo fuori. Mio cugino Fiore, di 16 anni, mi prese per un
braccio  mi trascinò nel campo dietro casa. Gli altri corsero nel pagliaio dove poco dopo ci fu una nuova, forte esplosione che provocò un incendio: fu la carneficina di tutti quelli che c’erano dentro. Noi eravamo a circa 15 metri da lì e ad ogni esplosione ci cadevano addosso brandelli di corpi. Gli americani continuavano a sparare ad ogni minimo movimento. Noi, strisciando a terra, cercammo di raggiungere un fosso che corre lungo il ciglio della strada. Dietro di noi esplose un’altra granata che sollevò una valanga di terra che ci ricoprì quasi completamente. Mio cugino mi aiutò a tirarmi fuori dall’ammasso di terra e fango che mi
imprigionava e così raggiungemmo il fosso rimanendovi acquattati nelle acque fangose, immobili, per circa 3 ore. Poi raggiungemmo la casa di mio zio Giuseppe. Soltanto verso sera inoltrata fu possibile ritornare al pagliaio del nostro podere. Cercammo i feriti, ma molti di loro erano morti tra atroci sofferenze. Morirono mio padre Angelo, di 35 anni, i miei due fratelli Valentino di 8 anni e Gino di 4, mio cugino Aurelio di 8 anni, i quattro componenti della famiglia Furlan di Nettuno. Della famiglia Astolfi invece morirono il vecchio Sante, la figlia Rina, la nuora Livia Freguglia, i nipoti Consolo e Pietro. In tutto 13 morti e 6 feriti che sopravvissero. I corpi flagellati rimasero a terra per più di 8 giorni. Poi, con un carro trainato da buoi, tornammo al casolare e raccogliemmo i cadaveri. Ricoperti da un lenzuolo, essi furono trasportati al non lontano cimitero di Borgo Montello».
Egidio, poi, si unì al gruppo degli sfollati che trovarono rifugio in Calabria e rientrò a Littoria al termine della guerra. Con tanti sacrifici e sofferenze riuscì a ricostruirsi una vita e gli affetti e nel 1948 partecipò, con Aldo Calabresi, alla costruzione a Borgo Montello del Monumento ai Caduti dove una lapide riporta i nomi dei suoi cari uccisi nella strage. Ma, ancora oggi, non riesce a trattenere le lacrime quando, a chi glielo chiede, ricorda quel drammatico 24 gennaio.
Fin qui il breve racconto. Resta da chiedersi come mai iul Comune di Cisterna non abbia mai ricordato quel terribile fatto, e se non reputi di farlo almeno in vista degli 80 anni che cadranno nel 2024, e traendo da un indegno dimenticatoio i nomi di quelle povere vittime della Seconda guerra mondiale.
14 Gennaio, 2021 - Nessun Commento

LIBERTA’ DI ESPRESSIONE E DELUSIONI POLITICHE

In questo mondo politico così poco rispettoso dei cittadini e molto rispettoso dei propri interessi, compare ogni tanto una spolverata di sana democrazia. Ora che Twitter ha cancellato o sospeso l’account di Trump, ossia lo ha silenziato sul proprio big tech, ricompare la classica frase: “Non la penso come te, ma farò di tutto perché tu possa dire la tua opinione”. Una frase tanto bella e consolante quanto falsa o falsificata. A Trump hanno tolto la parola semplicemente perché è un po’ fuori onda. Lo ha scritto anche il giornalista americano Carl Bernstein, quello del Watergate, che ha parlato chiaramente di un ex-Presidente degli USA non più capace di tenere a freno se stesso. Quindi pericoloso (non dimentichiamo che tiene nella sua tasca la chiavetta che può scatenare una guerra nucleare).

Bernstein dice quelle cose, altri difendono il diritto di Trump alla parola, che gli è stata tolta non da un anatema papale o da un divieto del Congresso americano,  vilipeso dall’assalto di una banda di inferociti (ossia: fatti inferocire da Trump, da lui istigati), ma da uno dei veri monopolisti della libertà oscena di espressione, Twitter. E anche da Facebook, altro monopolista che lascia la libertà di parola ai creatori di bufale e al primo matto in circolazione che crea un suo account.

E poi c’è IN Italia il “Caso Renzi”.

Io non sono nessuno, ma ho anche io diritto ad esprimere le mie opinioni. Che sono queste:

–        Trump ha avuto il potere (non il diritto) di parlare e di insultare e ne ha abusato nei confronti del mondo (affare clima,
politica dei dazi, ecc.), del suo Paese (rifiuto di riconoscere la presidenza di Biden legalmente eletto, assalto a Capitol Hill), e di
se stesso (esibendosi in modi che anche da noi lo avrebbero affidato a qualcuno per una tutela. Quel potere di parlare non lo ha bene esercitato. Ora è lui che non vuole che parlino gli altri (Biden, quale legittimo successore, il Congresso quale detentore del potere di certificazione di una elezione corretta), la Costituzione degli Stati Uniti. A mio avviso, se gli tolgono la parola non fanno un soldo di danno

–        L’ex premier Renzi, che in passato ho difeso contro tutti nei primi due anni di primierato, ricevendo molti insulti, mi ha convinto che avevo torto. Mi ha convinto lui tre volte: la prima, quando ha promesso di ritirarsi dalla politica se non avesse vinto il famoso referendum. Ha perduto il referendum, ma non si è mai ritirato, anzi… E un politico che è spergiuro non ha diritto ad essere ancora ascoltato. Quando parla fa danni anche a se stesso. La seconda, quando si è scoperto che voleva fare concorrenza ad Obama che usa come aereo un Boeing 747 (Air Force One) e si è dotato (a spese nostre) di un Airbus 340-500 con un leasing a carico di Alitalia (azienda indebitata e che sta per scomparire) di 150 milioni di euro. Quell’aereo è stato ribattezzato “Air Force Renzi”;  la terza volta, quando si è messo, in piena pandemìa e mentre si discuteva di Recovery Plan, a minacciare  crisi di governo e a tenere in sospeso il Paese per un mese cruciale. E vale, democraticamente, il 2,5 per cento dei votanti. Sono errori di
un bambino prepotente e viziato. Non voglio dire ricattatore, perché la parola è troppo grossa e neppure lui la merita (carità cristiana).

Ma perché non ricomincia da capo e concorre ad essere eletto sindaco di Rignano sull’Arno (Toscana)? Questa brutta esperienza da “grande” politico, forse lo farà diventare più adulto. Perché le basi ci sono.

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