19 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

3/LATINA E L’AGRO PONTINO: DALLA GUERRA AL DOPOGUERRA LA VITA CIVILE NELL’IMMEDIATO DOPOGUERRA. CENNI

di Pier Giacomo Sottoriva

 Il ritorno alla vita civile organizzata e dignitosa passò attraverso il rientro degli sfollati e il drammatico problema di trovare per loro un alloggio, attesi i gravi danni alle abitazioni civili. Alla ricerca di un pur precario rifugio, si accettano condizioni di promiscuità, di sovraffollamento, di approssimazione, di mancanza d'acqua e degli strumenti minimi per osservare l’igiene individuale e collettiva. Non esiste riservatezza in quella vita. Si vive come si può e dove si può, nella gran parte dei casi. Si occupano, così, a Latina il ricovero antiaereo detto di S. Maria Goretti (un “ricovero” per modo di dire: era un fabbricato come gli altri, senza alcuna difesa potenziata); i locali di Palazzo M, gli edifici della ex-Gil mai ultimati, abitazioni private ancora non raggiunte dai legittimi proprietari. A via Montesanto viene creata una baraccopoli, che sarà smantellata, e con proteste, solo nel 1954. La zona attorno a Campo Boario subisce una straordinaria fioritura di costruzioni provvisorie di ogni genere, e si merita l’appellativo di Shangai, che l’ha accompagnata per  molti anni. A profughi e sfollati locali, si aggiungono poi i profughi dalla Venezia Giulia e dall’Istria e Dalmazia del “Grande Esodo”: vengono ospitati in un Centro Raccolta Profughi nelle caserme dell’ex 82° reggimento Fanteria “Roma”. Si organizza una soluzione dignitosa e nel tempo sorgerà Villaggio Trieste, oggi demolito e sostituito da edifici dell’IACP. Lo stesso accade in ex caserme di Gaeta, ad iniziare dalla Caserma Cosenz.

Mancano l’energia elettrica, l’acqua, i generi alimentari: la carta annonaria funziona fino alla fine del 1945; manca il vestiario. Partiranno, però, presto dei piani di aiuto: la Pontificia Opera Assistenziale – POA – del Vaticano, manda camion pieni di materiali essenziali acquistati all’estero; poi arriveranno il Piano Marshall o Piano Erp (Enterprise Resource Planning), e l’Unrra Casas, un Comitato per la ricostruzione di case per i senza tetto. La vicina Cisterna poté beneficiare di una decina di casette donate dall’allora sindaco italo-americano di New York, Fiorello La Guardia, e sono durate fino ad anni recenti.

Si assiste ad una quasi separazione tra Latina città (che acquisì questo nome nel 1945) e la sua area rurale: nei borghi si costituisce un Comitato di difesa dei diritti della campagna, che lamenta l’abbandono totale. La città cerca di riordinarsi: si improvvisa, si compilano le domande dei danni di guerra, si cerca un qualsiasi lavoro. Ed è una ricerca che sottolinea il paradosso che si afferma tra le tante occasioni per lavorare che la ricostruzione richiede e i ritardi nel ricevere i finanziamenti per ripristinare opere pubbliche attraverso i cantieri di lavoro (strade, ponti, ferrovie, edifici pubblici, scuole, case). Il problema dell’alimentazione oscilla tra carenze oggettive, ammassi forzati che vengono evasi, la borsa nera che impone prezzi elevati ma è l’unica a funzionare bene, anche se i salari, quando esistono, sono insufficienti. E, intanto, si mette in moto il meccanismo dell’aumento dei prezzi, dell’inflazione, che aggiunge disagi e ostacoli.

La politica

Ma la vita non si arresta e la politica tenta di introdurre un principio d’ordine e di organizzazione e si arricchisce di una serie di fatti, uomini, eventi. La struttura portante è affidata alle Prefetture, e questo è un lascito alleato che mantiene il telaio della burocrazia fascista per non distruggere quel poco di organizzazione che ancora esiste; l’epurazione non lascia strascichi (amnistia promossa dal Ministro della Giustizia del Governo unitario, Palmiro Togliatti, comunista), sembra come se nessuno sia stato fascista o collaborazionista. I primi tentativi di nuova politica si hanno col CLN e i partiti che si organizzano. Divenendo da strutture nascoste e clandestine, punti di riferimento (v. Archivio di Stato di Latina, La nascita dei partiti politici). Alla fine del 1944, secondo relazioni dei Carabinieri e della Questura, risultano attivi: il PCI con oltre 3000 iscritti; il Psiup, oltre 2000; la DC circa 1200; Democrazia del Lavoro 800; PLI 500; Partito d’Azione 400; PRI 148. E nasce un nuovo vocabolario: da plutocrazia, gerarchia, razze, si passa a proletariato, borghesia, capitalismo; esplode presto la contrapposizione tra comunisti e socialisti da una parte e democrazia cristiana, dall’altra. Nasce una serie di polemiche sulla sorte di Littoria e della sua Provincia, sul nome stesso di Littoria, sui rapporti tra Prefettura e Comitato Provinciale di Liberazione Nazionale, sui sindaci da nominare o da eleggere. A quest’ultimo proposito, va ricordato che la riorganizzazione istituzionale inizia con un decreto luogotenenziale del 4 aprile 1944, che reintroduce la figura del sindaco eletto in luogo del podestà nominato, e la prima organizzazione pubblica di nuovo conio: l’abbandono della figura del Capo della Provincia, sostituito in  attesa della nuova Costituzione, da Deputazioni provinciali nominate dal Prefetto, ma approvate dal governo militare alleato (AMG), mentre i sindaci sono nominati direttamente dal governo militare alleato. E ci si prepara alla nuova esperienza delle elezioni democratiche, sancite dal Decreto legislativo del gennaio 1946, che dispone che gli organi amministrativi locali vengono definiti su base elettiva. Intanto, però, si litiga tra il Prefetto che deve obbedire agli impulsi del governo militare alleato, CPLN (Comitato provinciale di liberazione nazionale) e partiti, che rivendicano una funzione non solo consultiva nella scelta degli amministratori da nominare. I documenti testimoniano queste scaramucce. (3/ continua)

 

11 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

2/LATINA E L’AGRO PONTINO DALLA GUERRA AL DOPOGUERRA
LA GUERRA IN CASA

di Pier Giacomo Sottoriva

La città di Littoria aveva vissuto direttamente la guerra a partire dal 1943 con i primi bombardamenti che avevano distrutto l’aeroporto militare costruito da meno di cinque anni, e sicuramente vecchio dal punto di vista militare. Era accaduto nell’estate di quello stesso anno. Dalla notte del 22 gennaio 1944, dopo lo sbarco alleato ad Anzio e Nettuno, Littoria divenne, invece, zona di prima linea. Il 24 gennaio, alle porte del capoluogo avvenne una strage di civili a Prato Cesarino (Cisterna), quando un carro armato alleato aveva aperto il fuoco contro il Podere dei Salaro e aveva ucciso tredici persone e provocato molti feriti (lo ricorda Mauro Nasi in un suo saggio).

Il 25 gennaio Littoria aveva contato i primi morti causati dall’artiglieria navale alleata. Una testimonianza diretta, anche se parziale, di quei mesi è rappresentata dal Diario di guerra dei Salesiani, rimasto a lungo testimone muto, poi citato anche dal sottoscritto, e infine analiticamente presentato e pubblicato dallo studioso Clemente Ciammaruconi. Dopo lo sfondamento del fronte, alle ore 14.30 del 25 maggio 1944 erano entrati a Littoria prima pattuglie di Americani con qualche carro armato, poi gli Inglesi. Il 30 maggio i Tedeschi lasciavano la provincia di Littoria, dopo una violenta resistenza combattuta a Cisterna in una battaglia durata tre giorni.

La guerra lasciava strascichi penosi nella Provincia “cara al duce” circa 7 mila morti, oltre 10.000 feriti; otto comuni distrutti per più dell’80 per cento delle costruzioni, altri 8 severamente danneggiati, 60 mila vani civili distrutti o inabitabili in questi 16 Comuni; 23 mila delle 43 mila abitazioni annientate o danneggiate, infrastrutture civili e reti di comunicazione interamente da ricostruire (Relazione Ballerini, Camera di Commercio). La morte, poi, da bellica divenne post-bellica, grazie a tutto quello che la guerra abbandonò: ordigni di ogni genere ancora mortalmente efficienti, soprattutto le mine, a terra e in mare (la bonifica delle mine rimase operativa fino ai primi anni Sessanta del Novecento, ma la scoperta di ordigni ancora micidiali è cosa anche degli anni Duemila).

Era riapparsa la malaria dall’agosto 1942, ed aveva colpito quasi tutta la provincia marittima, incluse Formia, Gaeta, Minturno. Secondo una relazione del 1950, la malaria aveva colpito il 95 per cento della popolazione. Il Consorzio antimalarico riaprì 38 ambulatori, poi il 7 marzo 1946 si cominciò a trattare i focolai malarici con un nuovo e potente mezzo, il Ddt (Dicloro Difenil Tricloroetano) che si sarebbe dimostrato efficace contro la  zanzara Anopheles. La prima sperimentazione massiccia venne effettuata con piccoli aerei sulla Piana di Fondi (F. Snowden, La conquista della malaria). I danni della recrudescenza malarica nel triennio 1944-46, furono calcolati in 3.164,3 milioni di lire a valori d’epoca, qualcosa come 83 milioni di euro a valori odierni, per mancate giornate lavorative, ridotta efficienza e spese varie (dai pipistrelli al DDT). Una carta dell’Opera Nazionale Combattenti riferita alla sola area di bonifica, parla di 5966 ettari minati, di 299 poderi distrutti, di 507 fortemente danneggiati e di 954 “solo” danneggiati.

Altri consuntivi raccontano di 10.468 ettari di superficie allagata per due anni (1944-45), 12.259 ettari di territorio provinciale minati e improduttivi per tre anni, 4.205 vani rurali distrutti e più di 8.000 danneggiati; 71 mila metri cubi di stalle e magazzini distrutti e circa 100 mila danneggiati; il 50 per cento dei macchinari agricoli o dei mezzi di trazione distrutti. Oltre 6.500 ettari di superficie boschiva furono distrutti o danneggiati, e l’agricoltura accusò anche la perdita totale di 8,5 milioni di viti, e parziale di altri 4 milioni; 220 mila olivi perduti e 150 mila danneggiati, 600 mila alberature diverse distrutte o danneggiate. E ancora, con riferimento alle scorte vive perdute: 47.491 bovini, l’83,4% del patrimonio anteguerra; 6495 equini, 59.303 ovini, 11.000 suini. Queste cifre furono esposte dall’ing Ballerini, presidente della Camera di Commercio del dopoguerra; mentre in una relazione dattiloscritta del Consorzio di Bonifica di Latina (prima che prendesse il nome di Consorzio di Bonifica dell’Agro Pontino, oggi Consorzio di Bonifica Lazio sud ovest) si annotano i seguenti danni alle opere di bonifica: messo fuori uso il 50 per cento degli impianti idrovori distrutti o gravemente danneggiati; 30 ponti in cemento armato dovettero essere rimessi a nuovo o ricostruiti. Nel conto dei danni entra anche la perdita di diserbatrici dei canali, la rottura di foci, la distruzione di argini di fiumi, il sabotaggio di paratie e di macchine idrovore (dalla grande idrovora di Mazzocchio (i nuovissimi motori della più grande delle Idrovore, Mazzocchio, erano stati smontati e stavano viaggiando verso la Germania, quando il merci che li trasferiva venne bloccato alla frontiera, dove rimase fino a fine guerra: e le macchine furono recuperate) i Tedeschi asportarono i potenti motori che, fortunatamente, furono ritrovati su un treno merci bloccato prima del confine). Potremmo, insomma, chiamare questi dati l’altra faccia, la faccia “bellica” della bonifica fascista.(2/continua)

6 Ottobre, 2022 - Nessun Commento

1/LATINA E LA SOCIETÀ PONTINA DALLA FINE DELLA GUERRA AGLI INIZI DEL BOOM ECONOMICO

La provincia di Latina costituisce, indubbiamente, un caso esemplare del profondo rinnovamento che dopo la guerra investì tutti gli aspetti della vita nazionale e locale. Considerando l’anomalia del primo decennio di vita (1934-1944) della provincia di Littoria (unione di territori eterogenei, costruzione di nuovi nuclei urbani, forti ondate immigratorie, impianto di un modello strutturale e relazionale imposto dall’alto, drammatico coinvolgimento nelle vicende belliche, pressoché totale distruzione di tutto ciò che era stato fatto negli anni Trenta), potrebbe non essere azzardato affermare che questa Provincia abbia iniziato la sua normale vita solo a partire dal 1945.

In effetti, il postfascismo trova un’aggregazione sociale nel superamento di una origine datata e “firmata” attraverso la ricerca di una dimensione nuova, tra lo stupore per essere sopravvissuti alla guerra, i tribunali dell’epurazione, il ritorno dei reduci, il rientro degli sfollati, il bilancio dei morti, feriti e delle distruzioni belliche. E, poi, il ritorno ai luoghi di antica residenza di alcuni degli immigrati bonificatori dei primi anni, il vacillare della riforma fondiaria basata sulla colonizzazione dei terreni bonificati, nuove immigrazioni e, infine, la rivoluzione socio-antropologica determinata dalla Casmez e dalla crescita dell’industrializzazione, lo sviluppo demografico impetuoso, la disordinata crescita urbanistica, tra il rifiuto dell’architettura simbolica (Casa del contadino di Littoria), delle esperienze fasciste e le nuove esigenze e la crescente funzione di Latina come polo attrattore di un bacino demografico e culturale del contorno (collina e pianura).

L’immagine post bellica della città è quella di un palcoscenico senza quinte né sfondi.

I palazzi del regime sono come fantasmi desolati, sventrati o feriti o abbandonati Palazzo M, ex GIL, Casa del Combattente. Casa del Balilla, ex ONMI, ecc.) la città è stata interrotta nel suo primo crescere, come fosse stata colpita da una forma poliomielitica. La città “fondata” non ha avuto tempo di crescere: dietro lo stadio c’è il deserto, attorno al Tribunale crescono prati di erbacce, i depositi di gas sotto terra, svuotati, erano una curiosità da scoprire. La circonvallazione era l’anello-confine valicato soltanto dal quartiere dell’ICP, che oggi chiamiamo quartiere Nicolosi, dal nome dell’architetto che lo progettò. I suoi rapporti col territorio finitimo sono ancora precari e affidati alla direttissima ferroviaria e a poche “corriere”, che la mattina non riempiono ancora le scuole di Latina, per svuotarla al termine delle lezioni.

La povertà è drammaticamente vissuta, meno dignitosa di quella che Stig Dagermann descrisse dell’autunno tedesco nel suo omonimo reportage su Berlino e sulla Germania distrutte; si lotta per un pasto, per un tetto, esclusa ogni forma di privacy.

***

La nuova provincia di Littoria aveva affrontato la guerra in condizioni economicamente difficili e in una grande precarietà sociale ed organizzativa. Era nata appena nove anni prima, e a quel momento presentava un quadro socio-economico molto fluido. Nel 1938 la popolazione provinciale censìta era cresciuta fino a 241.430 abitanti (non so se vi erano inclusi i circa 80 mila operai che in sei anni circa la popolarono per costruire le “città nuove” e bonificare la palude) : da quell’anno 1938 la crescita si era attenuata progressivamente fino ad interrompersi con l’interruzione del flusso migratorio che aveva accompagnato i lavori per la bonifica dell’Agro pontino (l’Archivio di Stato di Latina ha compiuto il meritorio gesto di rendere disponibili i nomi dei circa 80 mila operai che vennero assunti in vario modo). Ciononostante, nel 1942 gli abitanti erano saliti a 258.150 unità, con un incremento dovuto al saldo naturale.

I Comuni che formavano la Provincia erano 30 rispetto agli attuali 33, in quanto Maenza e Roccasecca dei Volsci erano aggregati a Priverno dal 1928, e SS. Cosma e Damiano a Castelforte (riacquisteranno tutti l’autonomia nel 1947). (1 – continua)

* Questo resoconto attinge molte informazioni da una pubblicazione che l’autore ha scritto insieme al dottor Erasmo Fiumara in occasione dei cinquanta anni di costituzione dell’Associazione Industriali di Latina (Aspetti del processo di sviluppo industriale in provincia di Latina tra il 1944 e il 2004).

La maggior parte delle informazioni proviene dall’Archivio di Stato di Latina – Prefettura di Littoria, Gabinetto

 

 

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