24 Novembre, 2012 - Nessun Commento

STIAMO A POSTO COL MALTEMPO: ORA POSSIAMO CHIAMARLO PER NOME

 

Ci siamo americanizzati anche col meteo: le perturbazioni atmosferiche non sono più figlie di nessuno, N.N., ma hanno un nome. E anche un numero progressivo. Il che non ci rassicura sugli effetti, ma ci tranquillizza sulla possibilità di attribuire esattamente eventuali disastri al “figlio del tempo” giusto. Gli eventi della settimana scorsa sono piombati cogliendoci ancora di sorpresa. La più sorpresa di tutti è stata quella povera anziana donna che è stata letteralmente strappata dalla furia delle acque del torrente Pontone (Itri- confine Formia-Gaeta), insieme ad alcune decine di metri quadrati di terreno fatto di depositi, e portata quasi fino a mare. Morta, naturalmente. Pace all’anima sua. Ma il Pontone resta ancora là, da sempre. Ed è la maggiore preoccupazione dei piccoli operatori del turismo della spiaggia di Vindicio a Formia, dove esso sfocia, dopo avere attraversato la strada Formia-Gaeta, grosso modo a circa un migliaio di metri da dove si trova la tomba di Cicerone. Quel torrente è sempre secco; si riempie solo d’inmverno, quando, oltre agli scarichi “neri” di una parte di Itri, porta con sé, rinforzato dalle piogge, tutto quello che trova lungo il suo percorso di 5-7 chilometri. Poi a Vindicio si va a fare il bagno. E’ la dimostrazione della cura e della sensibilità con cui viene preservata una delle poche ricchezze residue della nostra ex Provincia, il mare.

Volete un altro esempio di queste attenzioni? Se il tempo meteorologico ha risparmiato la costa pontina dalle mareggiate di scirocco e di libeccio nell’invernata 2011-2012, l’inverno 2012-2013 si è mangiato in pochi giorni quello che aveva permesso di risparmiare. La devastazione da erosione marina è stata micidiale in queste prime settimane autunno-invernali. Se va avanti così, ci troveremo il mare alla Bufalara e a Fogliano. A Sabaudia è prossimo a collegarsi direttamente col lago. Quanti miliardi sono stati sperperati alla rinfusa, senza un disegno obiettivo? E’ mai possibile che la Regione ignori che il mare non ha confini amministrativi, e che i progetti di difesa e rinascimento delle spiagge non possono seguire le ripartizioni segnate su una carta topografica, ma vanno pensati ed attuati in modo unitario e da un soggetto al di sopra della misera circoscrizione amministrativa? Perché non è stato affidato alla Provincia (ente supercomunale) la serie di costosi interventi che hanno prodotto risultato zero, quando non hanno peggiorato la situazione? Perché non è stata la stessa Regione ad operare. Oltre tutto, i suoi dirigenti politici sono ben pagati, e avrebbero potuto prendersi il disturbo.

L’ho fatto una volta e lo ripeto ora: dovendosi, comunque, modificare la Costituzione e visto che la Lega è andata fora di ball, perché invece delle Province non si sopprime la Regione (le Regioni)? Avremmo messo nel salvadanaio i soldi per ripagare il nostro “debito sovrano” per ora e subito, e per chissà quanti anni futuri.

16 Novembre, 2012 - Nessun Commento

GELASIO CAETANI E LE INDENNITA’ DI CARICA

Gelasio Caetani in una foto del 1924

Una notizia che non appartiene al mondo che viviamo, raccolta da un fascicolo dell’archivio personale di Gelasio Caetani (1877-1934), figlio di Onorato Caetani XIV duca di Sermoneta, e della britannica Ada Wilbraham, ingegnere minerario, eroe del Col di Lana (1916), deputato nazionalista e senatore del Regno (ex), ambasciatore d’Italia a Washington dal 1922 al 1925, vice presidente dell’Agip (appena costituita, anni Venti del secolo scorso), storico delle vicende di famiglia (Domus Caietana e diversi altri volumi), ispettore onorario ai monumenti, corrispondente dell’Accademia dei Lincei, restauratore della medievale Ninfa e del castello di Sermoneta, primo bonificatore della palude pontina (i suoi progetti di insediamento colonico partono nel 1919), scultore squisito, disegnatore tecnico e a mano libera (divertenti i molti schizzi dei suoi colleghi di Parlamento) , e un sacco di altre cose che un giorno racconterò.

La notizia è data da una lettera che egli scrive al Ministero degli Esteri il 21 maggio 1930. Gelasio aveva già da tempo smesso di fare l’ambasciatore, ma il Ministero degli Esteri si rivolgeva spesso a lui per consigli e consulenze, e alla fine lo nominò presidente della Commissione per l’Acquisto e l’Arredo delle Sedi diplomatiche e consolari all’Estero (C.A.S.E.), che iniziò a lavorare con una dotazione di 64 milioni di lire (un sacco di soldi all’epoca). Gelasio scrive al Ministero di aver ricevuto un accredito di Lire 547 per gettoni di presenza quale presidente della Commissione, ed allega, quasi sdegnato, alla sua lettera un suo assegno di pari importo (Lire 547: un bel po’ di denaro d’epoca), ricordando che egli non intendeva avere alcun compenso per servizi che gli erano richiesti dallo Stato, servigi che intendeva svolgere in forma gratuita. Bisognerebbe mandare quella lettera in copia ai circa nostri 400 mila professionisti della politica.

 

7 Novembre, 2012 - Nessun Commento

DEMOLITI GLI “SCHELETRI” DI MAIORA III AL CIRCEO

(foto da Legambiente)

Gli scheletri sul Promontorio

 

 

 

 

 

 

Nei giorni scorsi (il 31 ottobre 2012, per la storia) le ruspe hanno demolito uno dei più chiacchierati abusi edilizi della meravigliosa zona di Quarto Caldo a San Felice Circeo. Parliamo di alcuni scheletri di costruzioni, iniziati senza UNA licenza edilizia (all’epoca si chiamava così) fondata su una corretta applicazione delle norme del Piano di fabbricazione allora vigente. Erano destinate, fin dalla posa del primo plinto nella roccia del Circeo, a fare la fine che hanno fatto. Polvere erano e polvere sono ridiventati.

Si chiamavano “lottizzazione Maiora III”, ma con il blocco dei lavori erano diventati “gli scheletri”. Quegli scheletri abusivi hanno resistito forse quarant’anni a tutti i tentativi di demolizione, in parte per l’ostinazione (comprensibile, ma fuori luogo) di chi vi aveva investito; e in parte per la neghittosità o il timore (o chissà cos’altro) degli amministratori, che hanno sempre esitato a fare l’unica cosa che rimaneva da fare: demolirli.
Ed ora che gli scheletri non fanno più parte del paesaggio abusivo del Circeo, mentre per un verso sono il riaffermarsi della legalità e della difesa di un ambiente destinato a Parco nazionale, dall’altro verso hanno suscitato qualche rimpianto. “Sarebbe stato meglio lasciarli in piedi – ha commentato qualcuno – tanto ormai si erano radicati nel paesaggio. Sì, è vero, ne erano la negazione, ma costituivano anche la rappresentazione di come si possa reagire ad un abuso, che è sempre atto di prepotenza”.
A quei tempi, chi scrive faceva il giornalista, e di Maiora III (e di altri abusi consumati al Circeo) scrisse centinaia di articoli per Il Messaggero, insieme ad Emilio Drudi. Oggi quegli articoli, per chi li volesse consultare, si trovano in alcune cartelle depositate presso l’Archivio di Stato di Latina, a ricordo di un’epoca prepotente (era anche l’epoca di Camillo Crociani, se qualcuno lo tiene ancora in mente), e del balcone moderno e munito di tende costruito attorno alla cinquecentesca Torre Cervia che Crociani aveva comprato e trasformato in una villa moderna. Poi Camillo Crociani morì in Messico, dove si era trasferito per certe ragioni legate alla sua attività di uomo d’affari.
Un giorno che il cronista si era recato presso Maiora III per osservare se c’erano stati cambiamenti dopo lo stop ai lavori, ed avendo con sé la macchina fotografica, gli capitò di essere duramente rimbrottato da un imbronciato energumeno che spuntò fuori da uno degli scheletri, urlando di non avvicinarsi e stringendo in una mano un fucile da caccia. Per dire come andavano le cose. Ma il tempo, stavolta, è stato galantuomo.