10 Agosto, 2013 - 5 Commento

ANTONIO SICUREZZA, UN “SICURO” PITTORE

Sono legato a Formia da 16 anni di vita, il periodo della mia formazione. E’ inevitabile che in questo Blog Formia compaia di tanto in tanto, in modi diversi. Oggi il ricordo va al mitico “professore di disegno”, come lo chiamavamo alle Medie, Antonio Sicurezza, le cui opere conoscevo già nel mio periodo formiano, ma che ho imparato ad apprezzare nella sua “totalità” da quando il figlio Eugenio Sicurezza, ammiraglio e già comandante delle Capitanerie di Porto italiane, tirati i remi in barca, ha deciso di rendere al Padree l’omaggio che non aveva potuto regalargli quando era in vita. Ha cominciato, così, a battere tutte le vie che i quadri del Padre avevano preso, e a fissare su bellissimi libri le cose che scopriva o riscopriva. In questo è stato aiutato dalla sua gratitudine di Figlio e dalla competenza delle Figlie. Ed una di esse, Anna Luce, mi ha dato il piacere di scrivere una breve puntualizzazione sul grande catalogo delle pitture che stanno dedicando ad Antonio Sicutrezza. Lo metto a disposizione dei Lettori, certo di trovare il loro consenso. E scusate se Anna Luice apre il suo articolo citandomi. Davvero senza alcun mio merito.

Antonio Sicurezza nasce a Santa Maria Capua Vetere il 25 febbraio 1905 da una famiglia modesta, e frequenta con successo, nonostante le difficoltà economiche, l’Accademia di Belle Arti di Napoli, presso la quale si diploma in pittura nel 1931. Chiamato a dipingere per la chiesa dell’Annunziata a Maranola, il giovane artista rimane immediatamente colpito dal territorio formiano. Nel 1934 sposa l’insegnante Virginia Mastrogiovanni, dalla quale ha quattro figli. In tempo di guerra, dopo essersi rifugiato in grotta con la famiglia sui monti Aurunci, attraversa nel febbraio 1944 la linea Gustav, portandosi fino a Vibo Valentia. Tornato a Formia l’anno seguente, la trova in gran parte distrutta. Sicurezza contribuisce alla fase di ricostruzione, sia con l’insegnamento di disegno e storia dell’arte nelle scuole, sia attraverso la pittura: la sua arte è infatti diretta anche alla realizzazione per le chiese locali di opere che andranno a sostituire quelle perse nei bombardamenti. Dopo un lungo periodo di difficoltà economiche – sino alla fine degli anni Cinquanta l’artista acquista una notorietà e un benessere maggiori. Nel 1963 lascia l’antica casa di Santa Maria la Noce per trasferirsi nel nuovo villino in località Vindicio. Il suo studio rimane tuttavia in collina, perché la luce e le ampie dimensioni di quell’ambiente nel verde rispondono ai requisiti che gli servono per la realizzazione delle numerose pale d’altare che esegue negli anni Sessanta. Sicurezza partecipa a mostre collettive in Italia (tra queste, la Mostra Nazionale di Arte Figurativa per Italia 61 a Torino e, sempre a Torino, la II Biennale Nazionale Bodda di pittura e scultura, nel 1968) e all’estero (la Rassegna di Pittura Italiana Contemporanea tenutasi a Zurigo presso il Modern Art Centre Max G. Bollag, nel febbraio 1965, e a Londra la Rassegna Nazionale della University of London Union, nel 1971). Tiene inoltre numerose mostre personali nelle province di Latina e di Caserta e in varie città italiane, tra cui Roma, Brescia, Milano, Livorno, Napoli. Sia in Italia che all’estero, diversi sono i riconoscimenti ottenuti dall’artista2. Negli anni Settanta, dopo essersi trasferito nell’ultima casa in piazza Santa Teresa, sempre a Formia, lavora molto intensamente quasi fino alla morte, sopraggiunta il 29 agosto 1979. Le opere di Antonio Sicurezza sono conservate in collezioni pubbliche e private; inoltre, dal 1999, una sala del palazzo municipale di Formia è dedicata a una rassegna monografica dell’artista. Tra i premi ricevuti, si ricordano: medaglia d’argento nella Mostra Nazionale d’Arte Pura (Napoli, 1957); due medaglie d’oro nella Mostra Nazionale Italia 61 (Torino, 1961); quarto premio per la pittura nella II Biennale Nazionale Bodda (Torino, 1968); medaglia d’argento nella Rassegna della University of London Union (Londra, 1971); primo premio per la pittura alla VII Biennale d’Arte Sacra (Torre del Greco, 1973); trofeo Il Mondo d’Oggi – Italia Artistica (Caravaggio, 1976).
Antonio Sicurezza nasce dal verismo napoletano, ma il suo stile evolve verso un realismo soggettivo caratterizzato da colori e sentimenti mediterranei. Nelle chiese delle tre provincie finitime, Latina, Caserta e Frosinone, e in particolare a Formia, sono presenti oltre una ternbtina di sue opere. L’autrice del libro che verrà presentato, la dottoressa Anna Luce Sicurezza, sta dedicando un attento studio per la ricostruzione – per quanto possibile – di tutta l’opera del nonno, lavorando alla individuazione dei collezionisti e delle istituzioni che sono in possesso delle opere, 18 delle quali si trovano nella Sala Sicurezza del Comune di Formia. (E. S.)

CATALOGAZIONE IN CINQUE VOLUMI

DELLA PITTURA DI ANTONIO SICUREZZA
di Anna Luce Sicurezza (*)

Il libro curato da Pier Giacomo Sottoriva nel 2005 per i cento anni dalla nascita di Antonio Sicurezza ha aperto la strada a una vivace attività di ricerca sul pittore. In cinque monografie pubblicate tra il 2007 e il 2011 sono stati analizzati soprattutto i collegamenti con Formia, Maranola e Minturno, significativi riferimenti dell’area geografica dove l’artista è vissuto e dalla quale ha tratto ispirazione. Gli autori sono Gerardo De Meo e Mario Rizzi, oltre alla scrivente. Molto curato, specialmente per quanto attiene alla ricerca, il volume di Alessandra Lanzoni dal titolo La pittura di Antonio Sicurezza edito da De Luca Editori d’Arte.
Sempre presso De Luca è ora in corso la pubblicazione del catalogo ragionato delle opere di Sicurezza. La catalogazione finale risulterà composta da cinque volumi e vi saranno documentati oltre 1050 tra dipinti e disegni. Si stima che questo risultato rappresenti una buona parte della produzione del pittore; di almeno altre 400 opere, distrutte dalla guerra o disperse tra Italia, altri Paesi europei, Stati Uniti e Venezuela, manca una sufficiente documentazione, in particolare fotografica, dato che Sicurezza non teneva né un elenco delle sue opere né dei propri acquirenti.
I primi due volumi, rispettivamente sul paesaggio e sui temi sacri e religiosi, sono già stati pubblicati. Il catalogo sul paesaggio, curato da Giuseppe La Mastra, raccoglie 183 opere, in prevalenza dipinti a olio. Sui temi sacri e religiosi ha invece scritto Ferdinando Buranelli; vi sono presentati 101 lavori, alcuni dei quali opere complesse commissionate per la decorazione delle chiese.
La documentazione sulla ricca produzione di Sicurezza proseguirà con i cataloghi dei nudi, delle nature morte e dei ritratti. Ogni volume è stato affidato a un diverso storico dell’arte, con lo scopo di realizzare una più ampia e poliedrica base scientifica che si augura possa essere utile per future ricerche.

(*) Anna Luce è funzionaria storica dell’arte presso la Direzione Regionale della Lombardia del Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

 

7 Agosto, 2013 - Nessun Commento

LA CHIESA DI S.ANTONIO A CISTERNA RACCONTATA NEL 1934 DA GELASIO CAETANI

Gelasio Caetani, il geniale “inventore” di Ninfa e restauratore principale del castello di Sermoneta (tra la fine dell’Ottocento e gli anni Venti del Novecento) fu nominato Ispettore onorario ai Monumenti ai primi del 1934 per i Comuni di Cisterna di Littoria, Sermoneta, Norma e Ninfa, ed iniziò subito la sua attività per bruciare i tempi (va ricordato che Gelasio sarebbe morto alcuni mesi dopo la nomina, ma il tempo gli fu sufficiente per fare un gran numero di segnalazioni a protezione di edifici e ambienti di valore artistico). Tra le prime segnalazioni alla Soprintendenza ai Monumenti c’è quella che riguarda l’antica chiesa di S. Antonio, all’epoca alla periferia ovest di Cisterna, a poca distanza dall’Appia. In una lunga lettera, scritta in risposta ad una richiesta di notizie da parte dell’ing. Terenzio, che rivestiva l’incarico intendentizio, Gelasio ricorda che la chiesa “fu costruita da Bonifacio Caetani verso il 1572 [è il periodo in cui i Caetani trasferiscono la sede delle proprie attività dalla ormai isolata Sermoneta, a Cisterna che sorge lungo la via Appia] come è stata ampiamente illustrata nel capitolo XII del II volume della mia Domus Caietana. Non so dire esattamente quando sia cessato il culto in questa chiesa. Probabilmente avvenne dopo l’occupazione francese (fine Settecento-primi Ottocento) o dopo l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte del Governo Italiano” [c.d. leggi eversive]. “Comunque, la chiesa di S. Antonio era di proprietà assoluta di Casa Caetani perché è stata costruita interamente a sue spese”. Prosegue Gelasio dando altre notizie: che la chiesa era già adibita a magazzino dalle ultime decadi dell’ Ottocento; che l’adiacente chiostro era “usato come cacciara”; che nell’interno della chiesa e nelle lunette del chiostro vi erano affreschi risalenti al XVI secolo e ad epoche successive; che il quadro che ornava l’altare maggiore era probabilmente opera del Sermoneta [Girolamo Siciolante], “mentre la tavola di Valdisciola (sic) fu trasferita al Palazzo Caetani nel 1848 circa, quella di S. Antonio non so dove sia finita”. Altre informazioni: verso il 1890 fu rifatto il piancito della chiesa e le campane trasportate a Fogliano e dallo stesso Gelasio poi trasferite a Ninfa “ove oggi [1934] si trovano”. In quell’epoca le autorità ecclesiastiche diedero “loro piena sanzione” a che la chiesa venisse usata per scopi agricoli. Verso il 1920 , il fratello di Gelasio, Leone, che aveva ricevuta la chiesa in eredità, la vendette all’ing. Carlo Muratori: c’erano ancora pitture “in buono stato”, ma proprio allora “cominciarono le manomissioni”. Muratori vendette nel 1925 la chiesa a “un ente agricolo cisternese” che poi la rivendette ad un Luiselli. A quel punto della chiesa non restò più nulla, a causa di costruzioni e manomissioni che la resero irriconoscibile, ed un fulmine completò l’opera abbattendo le celle campanarie. Nel 1934 l’interno era “trasformato in molino per il grano, le pitture sono completamente sparite e non vi è più nulla di interessante da salvare o da notificare”. Si salvava solo un piccolo chiostro “a forma di U” che manteneva pilastrini monolitici, ma privi di sculture, e quasi identici a quelli di Palazzo Caetani, Nelle lunette, pur se molto deperite, apparivano scene a fresco della storia di S. Antonio, ma delle quali era difficile dire se fossero di valore sufficiente a giustificare le spese di restauro. Gelasio avverte di avere informato il proprietario di non imbiancare i dipinti e di non elevare tramezzi nei portici del chiostro ancora aperti. Ma lo stato era di abbandono e trascuratezza totale. La vecchia chiesa, divenuta molino, è da anni al centro di polemiche tra chi vuole utilizzare la cubatura per scopi commerciali e chi ne chiede un difficile e costoso recupero all’antico.

UN ALTRO DOCUMENTO

Ma sembra, comunque, interessante riproporre un altro documento dell’Arciprete Parroco di Cisterna di Roma (la firma è illegibile) che scrive il 23 aprile 1934 al Vescovo della Diocesi di Velletri, dalla quale Cisterna all’epoca dipendeva. Ecco quanto dice la lettera.

“Fin dal 1568 l’Ecc.mo Duca Bonifazio Caetani fece erigere in onore di S. Antonio una magnifica chiesa con annessa sacrestia, campanile e convento che affidò a dei religiosi per l’ufficiatura, rimanendo egli Jus Patrono della detta chiesa. Abbandonato il convento dai Religiosi e affidato ad un cappellano stipendiato dal detto Ecc.mo Duca, dopo 250 anni il Demanio, nella seconda invasione francese, contrastò il diritto di jus patronato e mise in vendita l’annesso caseggiato, il quale fu acquistato da un certo Giovan Battista Renzi di Cisterna. Ritornato alla sua sede il Pontefice, ritroso il Renzi a restituirlo, convenne ottenere la restituzione giudizialmente, dopo una sentenza contraria al Renzi. Dopo di che vi furono intromessi successivamente i Francescani e per un certo periodo di tempo anche i Mercedari ed i Redentoristi. Per cause, per momento a me ignote, abbandonato il convento dai Religiosi, fu officiata la Chiesa da un cappellano canonico del V. Capitolo di Cisterna, fino a che, non so con qual diritto, l’Ecc.ma Casa Caetani, dopo aver adoprato per usi profani la chiesa e il convento, vendette tutto alla famiglia Muratori. Questa ha effettuato la prima devastazione, cercando di togliere ogni parvenza di sacro alla chiesa, già consacrata, ma poi in seguito a qualche manifesto castigo divino – come dice il popolo – ha cercato di sbarazzarsene, rivendendo il tutto ad una Società Anonima Cisternese, che alla sua volta, ci ha dato di grugno, finendo la sua esistenza con un fallimento di circa 5 milioni e lasciando chiesa e convento ipotecata dallo stato fallimentare. Da qualche mese mi risulta che detta chiesa e convento è stata acquistata dal sig. Raffaele Luiselli di Cisterna, il quale senza interpellare affatto le autorità ecclesiastiche competenti, è ormai in possesso di tutti gli stabili di S. Antonio e sta completando la deplorevole devastazione della chiesa e del chiostro. Tengo a far presente che la chiesa di S. Antonio era in Cisterna decorata con magnifici affreschi di ottimi maestri, affreschi che, come ho accennato, furono oggetto della devastazione Muratori ed ora finiscono di scomparire per i lavori che il Luiselli sta effettuando nella chiesa detta, quale l’erezione di un mulino, ecc. La lettera dell’Arciprete termina invocando l’interessamento del Vescovo di Velletri.

3 Agosto, 2013 - Nessun Commento

UN COMMENTO A The Conquest of Malaria

Il Signor Esme Howard scrive dall’Inghilterra, dopo aver letto l’articolo dedicato su questo Blog al libro di Frank Snowden nel marzo 2013 (potete trovarlo nell’indice).

Sono rimasto interessato vedendo nel tuo blog di Marzo questo tema e le accuse di Snowden verso i tedeschi. La prima volta che io sentii discutere di questa faccenda fu viaggiando verso il sud della Cumbria, forse sette anni fa. In una trasmissione radio un Laziale parlava con rabbia contro gli Italiani collaborazionisti che secondo lui aiutarono i tedeschi a far tornare la malaria nella zona Pontina. Quando parlammo con te della cosa, tu già avevi dei dubbi. In una rivista, ho trovato questo sommario del libro di Snowden:  In the most shocking part of the book, Snowden describes – passionately, but with the skill of a great historian – how the retreating Nazi armies in Italy in 1943-44 deliberately caused a massive malaria epidemic in Lazio. It was “the only known example of biological warfare in 20th-century Europe”. The Germans flooded the plains at a certain point of the year, causing the maximum damage to the local population. This was yet another example of the “total war” waged by the Nazis upon the civilian population in Italy, a war which included massacres, theft and destruction. Ironically, it was the jewel in Mussolini’s crown – the new city of Littoria (now Latina) which suffered the worst damage at the hands of his own allies. Shamefully, the Italian malaria expert Alberto Missiroli had a role to play in the disaster: he did not distribute quinine, despite being well aware of the epidemic to come. Snowden claims that Missiroli was already preparing a new strategy – with the support of the US Rockefeller Foundation – using a new pesticide, DDT. Missiroli allowed the epidemic to spread, in order to create the ideal conditions for a massive, and lucrative, human experiment. Fifty-five thousand cases of malaria were recorded in the province of Littoria alone in 1944. It is estimated that more than a third of those in the affected area contracted the disease. Thousands, nobody knows how many, died. Mi sembra strana la mancanza di documenti che tu segnali. Ho comprato il libro e quando avrò tempo m’informerò. Trovo credibile che i nazisti abbiano fatto atti di sabotaggio biologici nel Lazio, ma meno probabile che Mussolini, anche se faceva vanto (come fece alla presenza di mio nonno)  del suo lavoro in Terra Pontina, volesse la ‘super razza’ sulla costa. Ho trovato, pero, il libro War and the Environment: Military Destruction in the Modern Age del 2009, nel quale c’è la testimonianza di Paul Russell. In questo, in conformità a lettere, corrispondenze e scritti di diario, (nelle pagine 117-118), si racconta la collaborazione tra Albero Missiroli e due tedeschi esperti nella malaria – l’accademico Erich Martini, Università di Amburgo e Ernst Rodenwalt di Heidelberg che in ottobre 1944 sono venuti in Italia proprio per sovraintendere all’inondazione del delta del Tevere (3000 ettari sottacqua in due mesi) e nell’ agro Pontino (6000 ettari). Paul Russell della Fondazione Rockefeller, esperto americano sulla malaria, che subito dopo guerra organizzava le opere alleate per il controllo della malaria in Italia, scrisse di quanto aveva visto della distruzione tedesca delle pompe di drenaggio, a volte mese in retro-marcia per più degradare l’ambiente e far ricrescere la malaria come atto di guerra biologico e non di puro sabotaggio. Missiroli, pure lui, con il suo atteggiamento piuttosto scientifico, ha giudicato che la malaria sulla costa Laziale  era tornata come nel secolo precedente.  Sono d’accordo con te che non si può concludere che i Nazi fecero tutto ciò per motivi di vendetta contro gli Italiani ‘traditori’. Fu, secondo Russell, atto di guerra ben deliberato perché lanciato originalmente nel 1943, e portato ad un crescendo nel 1944 visto l’andamento della guerra e l’importanza di Roma. Che me pensi? F.to Esme Howard,

La mia risposta sta in quanto ho già brevemente scritto su questo blog, e più diffusamente su un piccolo libro che scrissi qualche anno fa e che ha per titolo “Le tre malarie”. In conclusione: le tesi in storia vanno dimostrate con i documenti, e fino ad oggi essi non sono emersi. Ma continuiamo a cercare.