10 Ottobre, 2024 - Nessun Commento

ANCORA E SEMPRE EROSIONE
MA CI SPENDIAMO MILIONI PUBBLICI

(la prima foto è riferita alla spiaggia di Sabaudia dopo la mareggiata, la seconda a quella di Latina, a ridosso dei pennelli)

Ho avuto la fortuna di incontrare e conoscere l’ingegnere Giorgio Berriolo che, con il suo socio di studio, Giorgio Sirito, aveva dato vita ad uno studio per la difesa delle spiagge italiane (si chiamava “Studio Volta”, con sede in Savona). Lo conobbi soprattutto negli ultimi anni della sua vita. Aveva ricevuto tempo prima, dalla Regione Lazio, l’incarico di studiare il problema dell’erosione costiera. Per la verità a farlo venire quaggiù da noi era stato l’allora ex sindaco di Terracina, Renato Maragoni. Lo aveva chiamato avendo avuto tra le mani il libro che Berriolo aveva scritto: “Spiagge e porti turistici”, del 1972. Era il periodo nel quale Terracina stava subendo la pressione di un fenomeno che nessuno aveva ancora conosciuto qui nel Lazio. Per essere più precisi, lo aveva conosciuto la riviera orientale della città di Formia negli anni precedenti la seconda guerra mondiale e l’aveva fronteggiato con delle scogliere parallele al mare (sono tuttora visibili) che ottennero il solo risultato di cambiare l’aspetto del paesaggio e lasciare a terra una lingua di spiaggia pressoché inutilizzabile e presto divenuta una poltiglia di erbe marine che infradiciavano, ma non avevano salvato la spiaggia di cui Formia era avaramente dotata.

Da noi in Provincia, il fenomeno erosivo esplose, di colpo, il 4 novembre 1966, la notte dell’alluvione di Firenze, sommersa dalle acque dell’Arno e scossa dall’uragano marino che aveva colpito le sue coste. Altre coste erano state severamente colpite, come quelle della Liguria. Da noi in una sola notte l’erosione si presentò coi suoi effetti devastanti in quelle stesse ore: in una sola notte sparirono la spiaggia a oriente del Circeo e la strada Lungomare che portava a Torre Olévola. E a Terracina scomparirono spiaggia e stabilimenti balneari, annientati.  In una provincia marittima, di oltre cento chilometri di costa non era mai cresciuta una sensibilità e neppure una professionalità  “marina” e nessuno – politico, ingegnere, uomo di mare – sapeva dove mettere le mani, se non nei capelli.

Giorgio Berriolo venne in provincia, guardò Terracina, studiò la situazione locale e dopo pochi mesi presentò i suoi rimedi. Il Comune li adottò , sacrificò un vecchio stabilimento, ma salvò tutto il resto, malgrado un nuovo assalto erosivo in una notte delle feste natalizie successive. Giorgio Berriolo e lo Studio Volta furono chiamati a Roma dalla Regione Lazio, che decise di affrontare il problema che ormai interessava tutta la costa laziale. Berriolo presentò dopo alcuni sopralluoghi, rilievi,  sondaggi marini, l’ esame delle correnti,  lo studio dei fiumi (sono loro che portavano carichi di salutari detriti a mare) lasciò le sue considerazioni e si apprestò a presentare anche i suoi progetti. Alla Regione c’era uno dei pochi politici che hanno lasciato una traccia vera in Provincia, Gabriele Panizzi.

Il lavoro di Berriolo si chiama “Studio generale sul regime delle spiagge laziali e delle Isole Pontine”. La Regione lo adottò e incaricò Berriolo di proporre progetti di difesa delle coste a Formia,
Sabaudia, Minturno. I progetti furono finanziati  e in quei paesi di spiaggia ve ne è ancora dopo oltre trent’anni.  La Regione aveva fatto il suo dovere di “Regione” e aveva messo a disposizione dei “decisori” locali gli argomenti per una discussione informata del problema. Poi Berriolo mi confidò (lo racconto perché non faccio del male a nessuno)
che intendeva lasciare l’incarico presso la Regione Lazio, perché non trovava più interlocutori disposti a studiare prima e decidere poi.

MI scrisse anche qualche lettera da Savona, che non so dove sia finita, e mi raccontava perché non era più possibile per lui lavorare. Invocava la mia discrezione e io fui più che discreto. In particolare egli studiò la protezione di Foceverde e, senza mettere in mare neppure una sola pietra, fece “crescere” la spiaggia (davanti al ristorante Giovannino) di una quindicina di metri di profondità. Ma disse subito dopo: Abbiamo ottenuto una situazione soddisfacente, ma ora è necessario provvedere a consolidarla, perché duri negli anni. Ma mancano i soldi e pare che non interessi nessuno. Durerà, così restando le cose, forse tre o quattro anni.

Nessuno lo ascoltò, pur davanti all’evidenza, ed ebbe torto, perché la spiaggia rimase integra non 3 o 4 ,ma per non meno di sette anni. Poi, improvvisamente, in una notte di mareggiata, l’equilibrio si ruppe. Il mare divorò quello che Berriolo aveva creato e il ristorante si trovò esposto al rischio di essere demolito dalle ondate.

Allora tutti si preoccuparono. Ci furono riunioni e si decise di intervenire nel modo più grezzo: furono rovesciati enormi macigni di pietra, che salvarono l’esercizio commerciale, ma dopo pochi mesi invernali cominciarono a “mangiare” spiaggia verso est. Esattamente quello che mi aveva raccontato Berriolo che, nel frattempo era tornato deluso nella sua Savona, dove sarebbe scomparso pochi anni dopo. La Regione aveva rinunciato al suo dovere di coordinare le scelte per contenere un fenomeno che non si risolve guardando solo a qualche migliaio di metri di spiaggia locale, ma esige uno sguardo forzosamente unitario a tutti i 350 km di costa laziale (e poi con le Regioni contermini). Lo Stato non se ne è quasi mai occupato, neppure
per uno studio-quadro.

Allora qualcuno che non era ingegnere e neppure ingegnere marino, ma era consigliere regionale, chiese alla “sua” Regione i soldi necessari per “costruire” delle barriere a mare. Li chiamammo tutti “pennelli” e ne furono iniziati un paio,  normali alla spiaggia.  Le teorie scientifiche di Berriolo, basate sullo studio delle correnti, sulle caratteristiche dei detriti dei fiumi, sui moti d’acqua invernali, ecc. ecc. furono ignorati.  E il consigliere bussò a denari ancora una volta dalla Regione, che finanziò altri due “pennelli”. Perché? Cosa era accaduto?

Berriolo mi diceva: Il mare mangia la spiaggia ogni giorno perché fa il suo mestiere; ma i fiumi non apportano i detriti che compensano le erosioni giornaliere e danno equilibrio al lido. Se manca l’apporto detritico bisogna agire in altro modo. Come? Studiando la spiaggia interessata, metro per metro. Berriolo lo ha fatto, e sta scritto nel suo studio. A Latina non si è fatto. Come al Lido di Fondi, dove, davanti a un importante campeggio, furono buttati a mare alla rinfusa molti scogli. In un anno sono stati coperti da sabbia, ma nel frattempo avevano portato una “loro” erosione verso est. Perché, diceva Berriolo, il mare davanti a una scogliera trasversale , deposita a ovest (frenando le sabbie che scorrono), ma erode a est. Basta guardare una foto dall’alto.

Così è successo a Larina e i giornali scrissero che era stato introdotto al Lido un meccanismo per cui ogni anno avrebbero dovuto essere spesi milioni in roccia per creare una fila ininterrotta di
“pennelli”. Quelli esistenti, intanto, hanno mangiato progressivamente fino ad esporre gli alberghi di Capo Portiere al pericolo imminente di doversi difendere dal mare.  Anzi, alcuni anni dopo la posa dei “pennelli”, il mare salì fino alla lungomare, all’altezza della “lottizzazione Cucchiarelli”.

Ora è nata una confusa discussione tra gente che non ha mai letto lo studio dell’ingegnere marino Giorgio Berriolo, ma è in condizioni di bruciare milioni pubblici per scogli che non serviranno che a produrre altri danni. Si farnetica di mettere fino a Rio Martino una serie di barriere rigide, e si porta a conforto di questa spesa da 28 milioni la testimonianza di un signore che è molto bravo a fare il sindacalista, ma che di lotta all’erosione non ha molta conoscenza. Intanto Sabaudia ha già visto qualche anno fa i suoi stabilimenti di Caterattino diventare terra desolata e la Lungomare crollare in questi anni e quasi crollare in questi giorni.  Che altro dire? Forse come i Veneti: Se no’ xe mati no ‘li volemo.

 

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