Archivio per Aprile, 2020
22 Aprile, 2020 - 2 Commento

CHE NE FACCIAMO DEGLI ANZIANI?

ursulaLeggo da una chat, tra le molte che in questi giorni ci scambiamo, una notizia che riguarda noi anziani, ossia ultrasettantenni. Appartengo con molta soddisfazione a questa categoria di sopravvissuti. E sono tanto più soddisfatto perché sono ancora autosufficiente, di mente e di gambe. Difatti mi manca molto il jogging, che di solito faccio in luoghi assai poco frequentati e dove, quindi, non potrei fare danni. Se fossi stato contagiato potrei farne anche se di persone ce ne fosse una sola. Ma ho la fortuna di non esserlo, e per di più indosso sempre la mascherina. Perché, allora, non mi fanno andare a fare una corsetta? Ma c’è di più. Riprendo dalla chat cui accennavo sopra:

“Dalle notizie che filtrano, sembra che gli anziani il 4 maggio non potranno tornare alla vita normale come tutti gli altri, ma resteranno confinati nel loro domicilio. E’ stata Ursula Von der Layen a dichiarare per prima, senza neppure conferire particolare risalto alla misura, che gli anziani sarebbero dovuti rimanere in casa sino a dicembre a loro tutela. Addirittura Ilaria Capua (una scienziata), nel confermare l’opportunità del provvedimento, ha precisato che nonni e nipoti non potranno stare insieme come prima, fino a quando non si saprà come stiamo come popolo. Anziani, dunque, condannati al confinamento senza data, con la deprivazione non solo della libertà di movimento ma anche degli ordinari rapporti famigliari. E ciò sotto il pretesto della loro protezione”.

Massimo Gramellini ha scritto stamane su Il Corriere della Sera un “Caffè” delizioso, annunciando la nascita delle Brigate Anziani Combattenti (B.A.C.). Da parte mia ringrazio coloro che hanno a cuore la mia salute. Ma debbo anche constatare che di noi anziani è stata fatta una strage in queste settimane. Un vero e proprio genocidio generazionale, sia da parte di istituzioni (nelle RSA), sia da parte dell’imprenditoria privata, nelle Case di Riposo (Eterno verrebbe da commentare col senso del macabro). Io ho diligentemente trascorso, nel mio e nell’altrui interesse, una lunga libera prigionia in casa dal 5 marzo e intendo adeguarmi alle regole che il Governo detta per la mia tutela. Ma la Ursula non è il mio Governo e credo che avrà a che fare anche con gli anziani del suo Paese, la Germania, che non so se accoglieranno volentieri le sue previsioni in materia di distanziamento sociale degli anziani dai nipoti fino a dicembre. Io ho vissuto in una casa accogliente con molti libri, molti interessi intatti e seguìto dall’affetto di figli e nipoti. Sono stato fortunato, ma non merito un supplemento di “fortuna”. E spero di essere liberato il 4 maggio. Altrimenti evado.

16 Aprile, 2020 - 2 Commento

IL CORONAVIRUS E I TEMPI DELLA GUERRA

4.A.CISTERNA EMERGENTI DALLA GROTTAMi sono chiuso in casa il 5 marzo scorso. Lo ricordo con precisione solo perché il giorno prima è stato il mio compleanno di persona ormai ben dentro “quella certa età” che di certo non ha nulla. Il resto d’Italia aveva cominciato a chiudersi quando nella ricca, organizzatissima e attrezzatissima Lombardia erano esplosi i primi gravi casi di Coronavirus. Di questo personaggio sapevamo quello che voleva farci sapere la Cina che aveva una gatta da pelare di tre miliardi di cittadini, milione iiù,milione meno. Confesso che la prima cosa  che mi venne in mente fu: “pensate se fosse esploso a Napoli, o a Bari, o a Catanzaro, o a Potenza o a Palermo. Forse qualcuno avrebbe di nuovo invocato la lava purificatrice del Vesuvio, per sommergere i partenopei, i calabresi, i pugliesi, i siciliani. Invece noi cominciammo a pensare ai figli, ai nipoti, agli amici e conoscenti che vivono, lavorano, studiano o sono in gita in Lombardia. E a penare per loro. Poi è arrivata la notizia che confermava la catastrofe: annullate tutte le gite scolastiche. E come otterremo indietro i soldi che abbiamo già versato? Questa preoccupazione sovrastò per qualche giorno le prime angosciose notizie sui morti che si contavano nellaPadania e nel Veneto. Vedrai che loro che sono organizzati e seri risolveranno tutto in pochi giorni. Prime dichiarazioni dei politici, soprattutto Zaia e Fontana. Erano i più esposti. Dovevano far vedere come si reagisce a un pericolo. Fontana indossò la mascherina. Zaia, meno fotogenico e più pratico, si mise a lavorare e scomparve dai teleschermi.
“Ho fatto bene a chiudermi, pensai io. Con quella “certa età” che ho addosso, meglio usare cautela”. Ci è andata bene,forse perché la Lombardia e il Veneto, ma anche la padana Emilia, ignoravano i limiti e i i difetti di quella organizzazione che gli invidiavamo. Cominciò la conta dei morti, a decine al giorno; e degli ammalati, a centinaia e migliaia al giorno. Cominciamo a cambiare pensiero: se loro, Lombardia, Veneto ed Emilia soccombono, che sarà di noi meno attrezzati, meno organizzati, meno intelligenti, e senza dané? Il terzo giorno mi congratulavo per la mia saggezza, magari un po’ vigliacca. Mi ero chiuso in casa in tempo. La mia vigliaccheria venne cancellata dal prmo decreto che ordinò. “Tutti a casa!”.Ma non come Alberto Sordi. Come gente che quasi non ci credeva. Con oggi sono 36 giorni di prigionia. E non mi ci sto abituando. Noi abbiamo il sole, il mare, il Parco, la collina; ma chi ci ammazza? Ci mettemmo poco a capire che chi ci ammazzava era il Coronavirus.
Le cifre spaventavano. In guerra la gravita della situazione era segnalata dal crollo di una vecchia casa di tufi e di tegole, centrata da qualche proiettile vagante nel cielo di Cisterna, O dalla notizia sconvolgente della morte di qualche amico. Solo che durante la disastrosa guerra del 1943-44 (la guerra in casa nostra) non avevano supernercati da assalire per fare incetta di farina, di olio, di burro. La farina è scomparsa. Anche il farinaccio,anche il castagnaccio. Aspettavamo giorni di fame. A Cisterna la fame l’avevamo ogni giorno, ogni ora, ogni momento. A Latina aabbiamoffrontato il divieto di uscire di casa e l’invito autarchico “Iorestoincasa”, trasformato in un ossessivo hashtag, con il volto di un condannato all’ergastolo. E tanto  per far vedere che a noi le regole ci fanno un baffo, cominciammo ad uscire di casa, Prima furtivamente, poi con sempre maggiore ostentazione. Tenevamo però spento il motore delle nostre amate macchine perché il rumore dello scappamento avrebbe attirato l’attenzione delle pattuglie, che erano scese in strada, Non ci spaventò neppure il tentativo della Burocrazia di dissuaderci facendoci compilare le autocertificazioni. In
dieci giorni i Burocrati che vegliano sulle sorti del Paese ne hanno partorite ben cinque edizioni. Cinque moduli diversi per qualche virgola o qualche dichiarazione in più. Tanto la responsabilità era di chi li compilava. E le pattuglie di controllo dovevano fare corsi di aggiornamento per sapere quale dei cinque moduli era quello buono. Avevamo fregato anche la Lombardia; cinque “form” come si è cominciato a chiamarli da parte chi l’ingelese lo parla come il latino classico. Un solo problemaccio: le mascherine avevano subìto la sorte della farina sugli scaffali. Non se ne trovava una a pagarla oro. Pochi giorni dopo aumentarono il prezzo e quello che si pagava qualche centesimo prima del virus cominciò a costare due, tre, cinque, quindici, sedici, trenta euro. Ai tempi della guerra si chiamava “borsa nera”. E’ durato poco: la gente si è messa le sciarpe, ha tirato fuori i foulard e se li è legati attorno al collo e davanti alla bocca e al naso. E ha risparmiato. E le file ai negozi erano diventate la dimostrazione della serietà con cui la situazione
era stata presa dalla popolazione. Educati, distinti, qualche goffo tentativo di saltare la fila prontamente punito da maleparole da parte di chi veniva abusivamente scavalcato. Anche io ho fatto qualche fila, e  debbo dire che tutto è andato f liscio fino alla porta del supermercato. Una volta dentro era il caos. La gente non rispettava le distanze, affollava le corsie dei generi alimentari o casalinghi. Le commesse vigilavano all’ingresso per bloccare qualche furbetto che voleva entrare prima del turno; e hanno
cominciato a distribuire guanti e disinfettanti, anche a chi portava guanti appena tirati fuori della scatola. Io, invece, ricordo, ancora bambino, le file che con mia Madre dovevo fare ai forni di Roma, per ritirare i 150 grammi di pane che Benito Mussolini riusciva quasi sempre ad assicurare al suo popolo in guerra. Solo che prima di arrivare al banco del fornaio bisognava aspettare mezze ore intere, per sentirsi dire.”Signori, il  pane è finito, tornate domani”. E mia madre rimetteva nella borsa la tessera annonaria che dava diritto a quei 150 grammi, anche se solo in via del tutto teorica. Ma almeno non c’era nessuno che scavalcava la fila. O, meglio, a volte c’era qualche razzista che guardava me, mia madre e qualche altro nelle nostre stesse condizioni di “sfollati” ed esclamava in modo che tutti, ma proprio tutti sentissero: ”Ci mancavano i profughi, a Roma, Ma non potevano restare nelle loro case?”. Il problema che ci impediva di stare nelle nostre case era che i tedeschi il 19, 20 e 21 marzo 1944 ci avevano caricato tutti sui loro camion militari e ci avevano scaricato a Narni, a Cesano, alla Breda. Noi eravamo amici di ebrei riparati in qualche convento. Ci avevano lasciato la chiave di casa sulla via Flaminia, allorea campagna che iniziava subito dopo piazza del Popolo. Ma finalmente ci eravamo lavati dopo tre mesi di grotte. Sì, perché i Cisternesi vissero per tre mesi nelle grotte di pozzolana scavate sotto i palazzi di Cisterna, la più grande era quella lunga chilometri, sotto Palazzo Caetani. E non si potevano lasciare quei quattro metri quadrati di superficie che eravamo riusciti ad occupare. Per noi era sempre notte. La rompevano il umi a petrolio. Mia madre ci faceva soffiare il naso e usciva una poltiglia nerofumo. Poi, con pazienza e amore, cercava di liberarci i capelli dei pidocchi che li
affollavano. Il mezzo tecnico era lo stesso petrolio, strofinato sulla cute. Lo strumento per l’esecuzione erano le unghie dei pollici: venivano strette curando che il pidocchio non fuggisse. Sentivamo un “cric” liberatorio, Non era il computer, che non esisteva, era la corazza dei pidocchi che veniva frantumata. Ma uscire non si poteva. Ci pensavano i tedeschi, non i posti di blocco delle nostre buone e pazienti guardie municipali, carabinieri, polizia, guardia di finanza. Quelli tiravano fuori la machine-pistol e minacciavano.
C’era poco da discutere. E se non era la Wehrmacht a minacciare, ci pensava “Pippo” un caccia inglese che volava per far fuoco su qualunque cosa si muovesse sul terreno. Meglio se tedeschi, ma se erano italiani era lo stesso. Non si può essere razzisti in guerra. Ho una fotografia che mostra sette od otto bambini e bambine sul foro di uscita della grotta Scisciò, dove noi eravamo ricoverati. Non c’pera molta igiene là sotto, in quella promiscuità. Noi eravamo confinanti di una famiglia di zingari. Li chiamavano così, non con la colta distinzione tra Sinti, Rom e altre etnìe come oggi. All’epoca bastava dire zingari. Un giorno mia madre avvertì una orrenda puzza presso i nostri quattro metri quadrati rigorosamente senza alcuna separazione. Con molta pazienza fece confessare a una signora zingara che quell’odore veniva dai loro quattro metri quadrati. Era vero, veniva dalla testa di un cavallo morto per esplosione in strada, che era stata tagliata, avvolta in una coperta e tenuta da almeno quattro giorni per essere mangiata. Orrore. Ma c’era la fame. Oggi ci si spazientisce se un signore salta la fila. Io sono stato cacciato da un’edicola di giornali in malomodo. Ero – giuro involontariamente – in violazione del dovere di entrare uno alla volta. L’uomo che stava dentro, anche lui di una certa età, mi ha apostrofato brutalmente, ordinandomi ad alta voce di uscire perché ero a meno di un metro da lui. Aveva ragione e mi sono portato fuori, pentito e umiliato. Ma c’era davvero un foglio extra strong con su scritto: si prega di entrare uno alla volta. La
persona che mi aveva cacciato fuori non ebbe pietà, non raccolse neppure le mie scuse. Ieri, mentre facevo una delle file, aspettando il mio turno col numeretto in mano, una signora, sempre di una certa età, ha violato il distanziamento sociale e si è portata a ridosso del mio “stallo”. Non c’è stato nessuno che l’abbia richiamata al rispetto del metro d’obbligo. Mi sono dovuto distanziare io.
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